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La videocall tra il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, e il suo semi-omologo emiratino, Sheikh Abdullah bin Zayed al-Nahyan, è inusuale se non unica, ma si potrebbe dire che è un segno dei tempi dal profondo valore geopolitico. Sfondo della conversazione, l’epidemia di SarsCoV2, ma scopo tutt’altro. Teheran e Abu Dhabi non hanno rapporti diplomatici, divisi dalla faglia islamica (sciiti contro sunniti) e da visioni geopolitiche tutt’altro che conciliabili sulla regione. La Repubblica islamica tende all’imperialismo egemonico; quanto meno vuol crearsi sfere di influenza profonde con cui controllare, se possibile, le dinamiche dell’area attraverso la penetrazione in diversi paesi (dalla Siria allo Yemen, passando per Iraq, Libano e allargandosi fino all’Afghanistan e alle minoranze sciite nel Golfo). Gli Emirati Arabi, guidati dalla piccola-Sparta Abu Dhabi, sono il braccio armato dell’allineamento pro-status-quo sunnita. Con l’Arabia Saudita costituiscono il blocco politico del Golfo che si specchia nei meccanismi petroliferi dell’Opec (dove l’Iran è osteggiato) e in quelli di influenza politica regionale esistenzialmente avversi all’Iran.

Almeno finora. Perché le dinamiche interne al mondo sunnita potrebbero aver cambiato alcuni punti fermi – il tutto accelerato dallo sconvolgimento generale prodotto dalla pandemia. C’è una spaccatura che da mesi sta diventando sempre più evidente all’interno della corrente maggioritaria dell’Islam. Da una parte stanno i paesi pro-status-quo (Emirati, Arabia Saudita e Golfo, con l’Egitto), dall’altra quelli che hanno un’interpretazione rinnovata-ma-ispirata all’Islam politico della Fratellanza musulmana, ossia Qatar e Turchia. La spaccatura s’è resa evidente quattro anni fa, quando il Golfo isolò completamente Doha (accusato di collusione con il terrorismo e rapporti troppo sciolti con Teheran); occasione in cui Ankara si posizionò subito con la penisola nel Golfo. Attualmente c’è il teatro libico a far da luogo per lo scontro fisico, militare tra i due gruppi.

Il cambiamento impone realismo politico, dote emiratina. La ricostruzione semplificata della situazione può essere questa: per Abu Dhabi la spaccatura con Ankara e Doha è più forte, più preoccupante e più violenta, delle divisioni con Teheran. Tant’è che ci sono già state forme di contatto con gli iraniani, anche via Russia: per esempio, il ruolo che gli Emirati stanno svolgendo in Siria. Un tempo sostenevano con armi di contrabbando le opposizioni, ora sono pronti a spendersi per il riallaccio delle relazioni diplomatiche con Damasco (che fa da hub logistico per il rafforzamento del fronte ribelle anti-turco in Libia) e anche sulla ricostruzione. Restando sulla Siria, un’altra immagine dei tempi: da una settima si sa che a Saraqib, nel nord-ovest, sono arrivati 150 soldati dei reparti speciali egiziani per assistere gli iraniani (intesi anche come milizie, tipo Hezbollah). Quegli egiziani lavoreranno sulla roccaforte ribelle di Idlib, ossia più o meno direttamente contro la Turchia e i suoi asset siriani. La mossa del Cairo, avallata dagli emiratini e facilitata dagli iraniani (e non certo osteggiata dai russi), mette in difficoltà la Turchia in Libia.

Se lo sfogo militare in Nordafrica era impossibile, per via di una superiorità turca e del rischio destabilizzante che l’Egitto avrebbe subito da uno scontro nel cortile di casa, in Siria si può procedere a un regolamento di conti. In tutto questo, l’Iran gode di un ruolo di mezzo. Teheran è collegato al Qatar per ragioni strutturali (la condivisione del più grande reservoir gasifero del mondo South Pars/North Dome) e dialoga con Ankara sui temi mediterranei (l’Iran appoggia il governo di Tripoli e avalla l’impegno militare turco in Libia) e mediorientali (le azioni contro i curdi tra Siria e Iraq, che per la Repubblica islamica sono utili per regolare le questioni interne col Pjak) e per progetti infrastrutturale altamente strategici che attraversano il Caucaso e riguardano la connessione tra Mar Nero e Mar Caspio (piani su cui i turchi sfruttano la sponda azera, con Baku che è costantemente agganciato dalla sfera di influenza iraniana). Abu Dhabi cerca di aprire uno spazio attraverso cui rompere le relazioni della Turchia con l’Iran. Teheran sembra accettare il gioco per interesse.

Cosa si cela dietro agli insoliti contatti tra Emirati Arabi e Iran?

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