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Mauro Zampini, è stato Segretario Generale della Camera dei deputati il 28 giugno 1994, all’indomani di una riforma del Regolamento dei servizi e del personale varata dall’Ufficio di Presidenza il 15 giugno, e restato in carica fino al 18 ottobre 1999.

È stato in seguito prefetto e Presidente del Comitato Tecnico Scientifico per la valutazione ed il controllo strategico nelle Amministrazioni dello Stato. Dal 2006 al 2007 ha diretto la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno. È consigliere di Stato. Zampini tiene su Radio Radicale una rubrica intitolata “Istituzioni e politica”. L’associazione degli ex parlamentari ha pubblicato la trascrizione della puntata di ieri, sabato 6 giugno 2020, in cui Zampini svolge una riflessione (amara) sullo stato delle nostre istituzioni repubblicane.

Trattandosi delle opinioni di un civil servant che ha partecipato da protagonista alla vita del Parlamento che la Legge Fondamentale aveva posto al centro dell’ordinamento democratico (e che oggi sembra essere un accampamento dei manipoli dei nuovi ducetti), ho ritenuto opportuno diffonderne la conoscenza. Anche perché, pur essendo le sue considerazioni in altri tempi considerate ovvie, adesso sembrano eretiche.

“Il 2 giugno, festa dell’Unità nazionale, è andata in scena la prima prova generale: la gente è andata in piazza come prima, attorno ai suoi leader. Un attimo ancora e saremo in piena campagna elettorale per le prossime elezioni amministrative, regionali e comunali. Ma anche – aggiunge di seguito – per confermare o respingere la legge costituzionale che taglia d’un colpo 353 deputati e senatori”. Zampini ammette che sul numero dei parlamentari si può discutere e che quello previsto dai Padri costituenti non era scolpito nelle tavole che l’Onnipotente consegnò a Mosè sul Monte Sinai. Tuttavia i legislatori del 1948 non erano degli sprovveduti assetati di poltrone. Si erano limitati a garantire una rappresentanza adeguata per un popolazione (inferiore a quella attuale di alcuni milioni) dislocata su di una Penisola a forma di stivale, con tante differenze al suo interno. Nulla di male a rivedere quei rapporti tra elettorato attivo e passivo. Peraltro anche altri progetti di riforma proposti e mai andati in porto prevedevano una riduzione del numero dei parlamentari. Quale è allora il problema secondo Zampini? “Motivare quel taglio con l’eliminazione di trecentocinquanta fannulloni – questa è l’unica reale motivazione recata dal ministro Fraccaro – senza specificare cosa distingua questi trecento fannulloni dagli oltre seicento che rimangono, significa tenere in vita e giustificare l’esistenza di un ente inutile’’.

“Oggi in assenza di vere motivazioni, in assenza di analisi, in assenza di modifiche costituzionali – prosegue l’ex Segretario generale – la scelta tra i vecchi padri costituenti, con Mortati e compagnia, e i neo-costituenti, con il ministro Di Maio e la sua compagnia, è priva di senso. Ingannevole è anche il confronto con altri Parlamenti, specie di sistemi presidenziali o semipresidenziali, come lo è anche l’asserita maggiore efficienza che deriverebbe dalla riduzione del numero dei parlamentari. Una cosa è certa: questa legge riduce la rappresentatività del Parlamento e dei parlamentari’’.

Si tratta di “Un tema di cui nessuno ha voglia di parlare’’. Ma ‘’se del referendum saranno costretti ad occuparsi tutti i partiti e quindi a dare alla consultazione la veemenza di ogni confronto dei partiti nel nostro Paese in quest’epoca, il merito sarà dei coraggiosi comitati referendari soprattutto di quelli per il no. Impegno che costringerà il Movimento 5 Stelle a conquistare davanti al Paese un successo che voleva già acquisito senza combattere. Bastava organizzare i festeggiamenti’’.

Dopo queste premesse Zampini tira in ballo il Pd da cui proviene, in proposito, un assordante silenzio. Il Partito Democratico dovrà compiere “pubblicamente una scelta, tra il prevalere del vincolo di maggioranza che peraltro non viene richiesto al partner, e la difesa della Costituzione repubblicana da uno sfregio privo di contenuti non propagandistici. Ricordiamo come il Partito Democratico avesse votato contro l’amputazione del Parlamento nelle prime letture, da oppositore del governo giallo-verde, cambiando repentinamente idea e voto – o almeno il voto – nelle letture finali’’. Gli elettori vedono nel Pd – l’erede delle due correnti politiche protagoniste dei primi quarant’anni di Repubblica – la postazione maggiore a difesa della Costituzione. Ma ne vedono anche le debolezze e gli opportunismi che già avevano portato ad abdicare alla difesa della propria storia e dei propri rappresentanti nella sanguinosa mattanza del taglio dei vitalizi. Sarà un momento della verità per lo stesso Partito Democratico che dovrà sciogliere i propri dubbi: dare o meno un corso diverso alla sua piccola politica di questi tempi; porsi l’esigenza di ritrovare un’unità dei partiti, almeno di quelli di maggioranza, attorno alla Costituzione, attorno ad un Parlamento davvero legislatore nel rispetto pieno del principio di separazione dei poteri’’.

Ed è appunto sui vitalizi che cade la mazzata finale di Zampini: “La Costituzione prima del governo. Scegliere di dare carattere organico all’attuale alleanza significa rinunziare a porsi come residuo baluardo a difesa delle nostre istituzioni. Per comprendere la portata non simbolica del taglio di vitalizi, l’ultimo caso è quello di un vecchio parlamentare socialista trentino di novantadue anni, con un vitalizio diminuito dell’ottanta per cento, ridotto a 800 euro mensili. Difficile anche rifarsi un lavoro a novantadue anni… L’operazione sui vitalizi non è stata – come voleva significare l’orgiastica esultanza dei vincitori sui terrazzi delle Camere eletti a simbolo di parte – l’eliminazione dei privilegi di qualche generazione di parassiti, ma il simbolo feroce dell’ingresso in una Terza Repubblica nemica del Parlamento, estranea alla Costituzione attraverso la gogna di generazione di eletti degli italiani”.

Zampini ha ragione. Ma in politica avere ragione non basta. Bisogna riuscire a farsela riconoscere. Purtroppo è stato istillato troppo veleno nei pozzi del vivere civile, per poter sperare di bere di nuovo acqua pulita. Ma come dice un precetto che ha formato la generazione di Zampini (che è anche la mia): non si deve sperare di vincere per combattere. Le cause perdute sono sempre le migliori. Come diceva Marco Pannella (ricordato da Zampini): “Fa ciò che devi, accada ciò che può”.

Una riflessione (amara) sullo stato delle nostre istituzioni. Firmata da Cazzola

Mauro Zampini, è stato Segretario Generale della Camera dei deputati il 28 giugno 1994, all'indomani di una riforma del Regolamento dei servizi e del personale varata dall'Ufficio di Presidenza il 15 giugno, e restato in carica fino al 18 ottobre 1999. È stato in seguito prefetto e Presidente del Comitato Tecnico Scientifico per la valutazione ed il controllo strategico nelle…

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