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La Semiconductor Industry Association ha rilasciato il suo ultimo rapporto 2020. Sono tante le suggestioni e le conferme che emergono nelle 20 pagine stilate da una delle più potenti lobby dell’industria americana. Il cui peso politico è destinato a crescere proporzionalmente alla criticità di questa nicchia industriale nell’economia del futuro. Non a caso al Congresso si è iniziato a parlare su proposta della Sia, come raccontato da Formiche.net nei giorni scorsi, di un nuovo piano per puntellare quello che viene definito “un trionfo dell’innovazione” e “un’impronta dell’abilità tecnologica americana”. Oltre a rilanciare, nel complesso, la frontiera scientifica e tecnologica americana. 

“La leadership del nostro paese nei semiconduttori è la dimostrazione di come l’America possieda la più grande economia al mondo e le più avanzate tecnologie”. E mantenere questo vantaggio sarà essenziale per una voce di primo piano nell’economia digitale e per le tecnologie come l’intelligenza artificiale, il quantum computing e il network 5G. Le smart city e le infrastrutture dell’Internet of Things si baseranno sull’efficienza e l’innovazione dei microchip. Tuttavia, mentre gli Stati Uniti “rimangono leader globali nel design e in R&D dei microchip, l’Asia sta facendo la parte del leone per quanto riguarda la manifattura”. All’industria dei microchip americana, fortemente integrata nelle global value chains oltreoceano, è pertanto richiesto di ripensare la sua strategia per rimanere competitiva “nell’instabilità geopolitica globale” e affrontare “le politiche commerciali” dei suoi competitors. 

I semiconduttori sono oramai componenti essenziali per l’economia e la sicurezza nazionale. Con un record di vendite nel 2018 (dal valore di 468 miliardi di dollari), il mercato dei microchip è destinato ad esplodere nei prossimi anni. Il 2019 ha inevitabilmente chiuso con una decrescita in tutti i comparti (Ict, automotive e industria), ma con un interessante crescita delle vendite al governo federale (un +13%, seppur conti solo per il 4% del valore totale). Settori trainanti ad alto contenuto tecnologico il cui sviluppo commerciale sarebbe stato impossibile “senza l’innovazione nei microchip”. 

L’industria americana detiene quasi metà della quota mondiale, davanti alle principali potenze industriali e tecnologiche (Corea, Giappone, Europa, Taiwan e per ultimo la Cina). “Ma questo non significa che gli Stati Uniti non verranno sfidati in futuro”. Gli Stati Uniti hanno goduto di un “circolo virtuoso dell’innovazione”, dal momento che queste commerciali hanno stimolato ricerca e sviluppo e così perpetuato la leadership tecnologica statunitense. Tuttavia, se l’industria americana gode di incontrastata egemonia “per il design e business model” dei microchip “logici e analogici”, l’Asia, con più del 80% delle capacità manifatturiere e degli impianti di produzione, sta scalando le gerarchie delle catene del valore. Un dato che sottolinea “la necessità per gli Stati Uniti di considerare investimenti strategici in questo comparto”. 

Nell’ultimo decennio il vantaggio americano nel design dei microchip si è progressivamente eroso, per via di costi “tecnologici e produttivi crescenti” e per l’ingresso nel mercato di nuovi competitor. Nel 2010 gli Stati Uniti erano due anni avanti rispetto a Taiwan e la Corea, mentre nel 2019 sono stati (e rimangono) coinvolti in un testa a testa soprattutto per “lanciare sul mercato i microchip all’avanguardia da 7 nanomentri”. Significativo che la Cina, nei dati presentati dalla Sia, in questo campo non abbia compiuto passi in avanti, risultando quattro anni indietro rispetto ai rivali asiatici e americani. Nel caso degli Stati Uniti, l’industria ha beneficiato di una crescita media delle spese R&D del 6,6% in vent’anni, con quasi 40 miliardi di dollari spesi solo nel 2019. Dopo il settore delle biotecnologie e quello farmaceutico, l’industria dei microchip conta il 16,9% degli investimenti in innovazione. 

Sul fronte del 5G, grimaldello per l’egemonia globale, inoltre, la competizione sarà dettata fortemente dall’accesso ai microchip più avanzati. Qui, se gli Stati Uniti godono di una certa leadership, le incertezze politiche dovute alla guerra commerciale con la Cina hanno “indebolito le aziende americane”. Ecco perché un “mancato accesso all’enorme mercato cinese” potrebbe ostacolare “lo sviluppo della competitività delle compagnie statunitensi in questo settore cruciale”. Una bacchettata al presidente Donald Trump? Forse. 

La leadership nei microchip degli Stati Uniti è stata possibile essenzialmente per “una capacità di investire nel design dei semiconduttori più avanzati” e per la disponibilità di una “forza lavoro competitiva”, grazie all’attrattività del modello americano. Ad oggi, però, solo il 12% dell’attività manifatturiera avviene sul suolo statunitense, con l’80% consolidatosi nell’Asia-Pacifico, il che costituisce “un problema di sicurezza nazionale”. “Nel contesto di incertezza geopolitica odierna”, ammonisce il rapporto, “gli Stati Uniti devono investire maggiormente nella produzione industriale domestica”. Con un indotto che conta quasi un milione di posti di lavoro e un export che è salito al quinto posto, dietro ai settori più tradizionali (industria aeronautica, petrolifera e dell’automobile), è più che logico auspicarsi che i policymaker “mettano in campo politiche per incentivare la costruzione di impianti di fabbricazione nazionali” per controbilanciare una crescita oltreoceano di “oltre cinque volte rispetto alle aperture negli Stati Uniti nell’ultimo decennio”. 

L’appello è al governo federale e al Congresso, chiamati a “sostenere l’industria dei microchip americana” per affrontare “la sfida della Cina e degli altri competitor globali”. Quattro le possibili soluzioni: triplicare e raddoppiare rispettivamente gli investimenti in ricerca applicata nei microchip e nei settori correlati (scienze dei materiali, ingegneria e informatica); garantire fondi per l’apertura di nuovi impianti; incoraggiare i programmi Stem nelle università e l’affluenza di studenti qualificati; migliorare gli accordi commerciali per abbattere le barriere di mercato e gli strumenti d’intelligence per monitorare l’attività di spionaggio industriale. Con un unico obiettivo: “vincere la competizione globale per le tecnologie del futuro”. 

Primato tecnologico, la lobby dei microchip suona la sveglia a Trump

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