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Il distanziamento dei Talebani da Al Qaeda è tutt’altro che in atto, anzi all’opposto i contatti procedono, nonostante gli Stati Uniti abbiamo messo la questione come condizione necessaria per portare avanti l’accordo di pacificazione con l’organizzazione afghana. Le informazioni più recenti sulla continuazione di queste relazioni sono state messe nero su bianco da un report del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

All’interno dell’organizzazione ribelle afghana persistono forme di collegamento e contatto con gli jihadisti creati da Osama bin Laden – da ricordare, prima di andare avanti, che la ragione della presenza americana in Afghanistan sono questi collegamenti, in particolare il riparo che il regime talebano aveva offerto ai qaedisti responsabili del 9/11.

Secondo l’analisi dell’Onu, per esempio, Hamza bin Landen – erede biologico e ideologico del padre – si sarebbe incontrato più volte all’inizio del 2019 con i leader Taliban per discutere di cooperazione e protezione. Hamza è stato dichiarato morto dalla Casa Bianca a settembre dello scorso anno (e i negoziati americani col gruppo erano già in corso).

Non solo: gli esperti delle Nazioni Unite credono che ulteriori incontri diretti ci sarebbero stati a febbraio (quando i negoziati venivano firmati) tra il leader qaedista, Ayman al-Zawahiri, e i massimi livelli della rete Haqqani – network jihadista famigliare, collegato a diverse altre attività criminali in Afghanistan e Pakistan e semi-indipendente rispetto al gruppo, ma in grado di compiere attività la cui diversificazione diventa complicata.

Stando al monitoraggio Onu, al Qaeda e la rete Haqqani avrebbero stretto un accordo per creare una formazione ultra-radicale composta da oltre duemila uomini: forze pronte alla guerriglia a cavallo dei confini afgano-pakistani; unità che gli Haqqani potrebbero usare sia per attentati che per i propri interessi. È evidente che la collaborazione più stretta tra la famiglia talebana e i qaedisti crea una problematica per l’accordo americano.

Il network che si muove sotto traccia potrebbe produrre attacchi da intestare ai Talebani tout court e seminare il caso nell’intesa e all’interno del Paese, dove il governo – scavalcato dai negoziati condotti dagli Stati Uniti – cerca spazi per provare a costruirsi uno standing politico-istituzionale che nonostante un recente accordo tra le due figure cardine, presidente e Ceo del Paese, per ora è piuttosto debole.

Tutto arriva per altro in mezzo a un problema di leadership che riguarda anche i Taliban, colpiti dal Covid: sebbene non confermato, il leader mawlawi Hibatullah Akhundzada potrebbe essere addirittura morto per via del coronavirus e la guida dell’organizzazione sarebbe passata – almeno momentaneamente – nella mani del figlio non ancora trentenne del Mullah Omar (il fondatore del gruppo): il mullah Muhammad Yaqoub.

“I Talebani hanno da una parte l’accordo negoziale con gli Stati Uniti e la volontà di sostituire il governo afghano con il proprio modello di Emirato islamico (il dialogo intra-afghano è preso in considerazione solamente dai media occidentali); dall’altra parte la difficile  gestione delle opposte correnti politiche interne al movimento”, spiega Claudio Bertolotti, direttore di Start Insight, ricercatore italiano al Cemres di Tunisi per la ‘5+5 Defense Initiative’ per la sicurezza del Mediterraneo, tra i massimi esperti di Afghanistan in Europa.

In un commentary per Ispi, Bertolotti spiega che la scelta di affidare la guida al figlio del fondatore dei talebani “potrebbe essere funzionale all’obiettivo di Islamabad di ridurre l’influenza di alcuni membri anziani della shura di Quetta e di preparare il terreno, in vista della possibile morte del mawlawi Hibatullah, per la nuova generazione di mujaheddin, consolidando al contempo il ruolo della rete Haqqani”. Il Pakistan è un Paese che ha giocato sempre carte clandestine all’interno dell’organizzazione (e nei rapporti con al Qaeda).

La presenza talebana nel Paese è ancora forte, radicata e combattiva. Il gruppo è un attore politico, “prima ancora che militare”, fa notare Bertolotti, “formalmente riconosciuto” (perché invitato ai tavoli di trattativa) e diplomaticamente attivo – i Taliban hanno relazioni ampie, che vanno dal Pakistan alla Russia, dall’Iran fino alla Cina.

“Sono sempre più aggressivi, dimostrando di aver ben compreso la fretta statunitense (o meglio, del presidente Donald Trump impegnato in una difficile campagna elettorale) di lasciare l’Afghanistan”, aggiunge l’esperto. Yaqoub avrebbe in mano la possibilità di incassare una vittoria – attraverso il riconoscimento semi-formale – nella ventennale guerra con gli americani e col governo, ma dovrà controllare il ruolo delle fazioni interne, e il rischio frammentazione.

Non è da escludere, secondo Bertolotti, che gli Haqqani, con il leader messo da parte dalla malattia (Sirajuddin Haqqani, braccio destro di Hibatullah avrebbe anche lui contratto il coronavirus) e dalla “promozione” di Yaqoub, possano scegliere di “proseguire in maniera autonoma attraverso una sorta di collaborazione competitiva con i talebani” e seguire così anche gli interessi di attori esterni competitivi con gli Usa.

Risiko Afghanistan. Ecco perché i negoziati con i talebani traballano

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