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La prima frontiera della proiezione globale della Cina è nel Pacifico, anche ai tempi del Covid-19. Oggi la Marina cinese ha accolto il varo della seconda unità d’assalto anfibio Type 075, a dieci giorni dal misterioso incendio sul primo esemplare della classe e con tempi di realizzazione più che rapidi. A Washington il potenziamento delle forze navali del Dragone è da tempo sotto osservazione. Ora, con l’inasprimento della competizione globale, il Congresso americano sta valutando di stanziare nuovi fondi al Pentagono proprio per aumentare le capacità di deterrenza.

Il PROGRAMMA

Realizzata in tempi record, la nuova unità navale cinese è entrata in acqua a soli sette mesi dalla gemella. Anche allora avevano stupito i tempi di realizzazione: meno di un anno dal taglio della chiglia al varo, sebbene il programma sia partito ufficialmente nel 2011. Si tratta di Lhd, cioè unità di assalto anfibio. Con una capacità fino a 40mila tonnellate (simile a Nave Trieste in allestimento per la Marina italiana), può ospitare a bordo all’incirca trenta elicotteri, compresi quelli da trasporto pesante Z8 in dotazione alle forze militari cinesi. Come è tipico dei programmi militari di Pechino, anche il Type 075 è stato accompagnato da un certo mistero. Fino a ieri, non c’erano notizie ufficiali sul varo della seconda nave, se non ricostruzioni a partire dalle foto del porto di Shanghai circolate sul social media cinese Sina Weibo. Oggi il video della discesa in acqua impazza invece sui canali ufficiali di Pechino, compresi quelli a diffusione mondiale a partire dal Global Times.

FUMI NERI SULLA MARINA CINESE

Misteri a cui si sono aggiunte le perplessità classiche dei tempi del Covid-19. Molti osservatori ritengono che le restrizioni per l’epidemia stiano avendo un impatto molto più forte sui programmi militari cinesi rispetto a quello che traspare nelle comunicazioni ufficiali del Partito. Eppure, Pechino ha voluto celebrare il varo della seconda Type 075, occasione utile per condire il 71esimo anniversario della nascita della Marina dell’Esercito popolare di liberazione (Plan). Occasione utile soprattutto per dissolvere il denso fumo nero che una decina di giorni fa ha avvolto la prima Type 075, attualmente impegnata sempre nel porto di Shangai per le prove in mare. Non ci sono dettagli sull’incidente né sulle conseguenze che avrà sull’entrata in servizio dell’unità. Chi lo ha visto (e ripreso sui social) spiega comunque che è stato spento rapidamente.

LE FORZE NAVALI

In ogni caso, la velocità impressa al programma Type 075 dimostra l’interesse cinese sul potenziamento della propria forza navale. “A partire dal 1985 – ha scritto su queste colonne l’analista  Lorenzo Termine – Pechino ha realizzato una monumentale svolta navale delle proprie Forze armate che ha fatto della Marina la componente più rilevante all’interno dell’Esercito popolare di liberazione”. L’obiettivo, ha notato l’esperto, è “un progressivo allargamento e una marittimizzazione della propria frontiera strategica, ovvero del perimetro territoriale imprescindibile per la sicurezza nazionale, includendovi gli immensi mari attigui, Taiwan, la penisola coreana, il Vietnam, e anche il Pacifico del nord ed alcune aree ad ovest dello stretto di Malacca finora estranee alla cultura strategica di Pechino”.

I TIMORI AMERICANI

A Washington se ne sono accorti da tempo, anche se ora i segnali d’allarme si fanno più forti. Ieri, il Wall Street Journal ha dedicato un editoriale all’aumento della deterrenza nel Pacifico. Secondo il quotidiano, il governo di Xi Jinping potrebbe voler sfruttare la pandemia per accelerare la proiezione cinese sulle acque più contese. È per questo che Capitol Hill si è mossa in anticipo. Il leader dell’opposizione repubblicana nella commissione Armed Services della Camera, Mac Thornberry, ha presentato una proposta di legge da 6 miliardi di dollari per aumentare la deterrenza nei confronti della Cina. Il collega del Senato, Tom Cotton, ha fatto lo stesso con un pacchetto da 43 miliardi per le forze americane nel Pacifico, comprendente nuovi sottomarini d’attacco di classe Virginia, armi di precisione e maggiori truppe in aree strategiche.

LA COMPETIZIONE GLOBALE

Lo stesso potrebbe fare il presidente della commissione competente alla Camera Adam Smith, aggiungendo un nuovo elemento ai vari impulsi che anticipano il National defense authorization act (Ndaa) del prossimo anno. Sarà quest’ultimo a ereditare la spinta all’incremento delle capacità di deterrenza nei confronti del Dragone d’Oriente, una priorità d’altra parte già definita dal capo del Pentagono Mark Esper. A rafforzarla sta già incidendo la campagna per le presidenziali. Come nota il WSJ, tra Joe Biden e Donald Trump è una gara a chi riesce ad essere più duro con la Cina.

UN’ASCESA COSTANTE

I timori per l’ascesa cinese sono più che bipartisan a Washington. Negli ultimi anni la potenza militare di Pechino è cresciuta a ritmi impressionati, alimentata da un budget in crescita perenne. Nel 2018, l’autorevole Stockholm international peace research institute (Sipri) stimava in 250 miliardi di dollari il budget della Difesa cinese, il 5% in più rispetto al 2017 e l’83% in più rispetto al 2009. Una crescita destinata a proseguire con l’unica incognita, tutta da scoprire, del Covid-19. Il Dragone ha reso noto l’anno scorso l’obiettivo di “avanzare in modo completo nella modernizzazione” di tutti i segmenti delle Forze armate entro il 2035, così da disporre entro il 2050 di uno strumento militare “world-class”.

I CAMPIONI CINESI

Il focus principale è proprio sul settore navale, tra l’altro destinato al consolidamento con la maxi fusione tra i due campioni China state shipbuilding corporation (Cssc) e China shipbuilding industry corporation (Csic). Nel 2017 (ancora dati Sipri), i due attori hanno consegnato in tutto tredici navi militari e quattro sottomarini. Nello stesso anno, il principale attore americano Huntington Ingalls Industries ha consegnato tre navi e un sottomarino, mentre la francese Naval Group si è fermata a due navi e un sottomarino. Sipri arriva dunque a stimare che tanto Cssc quanto Csic sarebbero tra i primi venti produttori al mondo di armamenti, con vendite “possibili” per 10 miliardi di dollari a testa.

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