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Prendiamo spunto dalla intervista della presidente Cartabia (Corriere, 29 aprile), per alcune riflessioni su ciò che fin qui si è detto e scritto circa la costituzionalità dei Dpcm emergenziali. Commentatori e giuristi, tra cui chi scrive, li hanno giudicati incostituzionali. Le giustificazioni del governo, anche del presidente del Consiglio nelle aule di Camera e Senato il 30 aprile, si sono limitate a rivendicare che, di fronte all’emergenza, fosse necessario ridurre i contatti sociali limitando le libertà costituzionali anche mediante provvedimenti amministrativi.

Non era questo che era stato contestato. Gioverà ripeterlo chiaramente perché ciascuno si assuma le sue responsabilità per la futura Fase 2.

Il giudizio di incostituzionalità non riguarda lo strumento in quanto tale. Da sempre il nostro ordinamento conosce le ordinanze contingibili e urgenti, in grado, in emergenza, di dettare norme giuridiche anche in contrasto con la legge e perfino con la Costituzione. Nessuno ne ha mai dubitato. La stessa Corte Costituzionale, e la presidente lo ricorda nella intervista, ha ritenuto questo strumento conforme a Costituzione.

Ma la Corte ha anche dettato delle condizioni per la loro costituzionalità, che la presidente ha riassunto nell’obbligo che esse siano ispirate ai principi di necessità, proporzionalità, ragionevolezza, bilanciamento e temporaneità. I Dpcm hanno rispettato queste condizioni? La risposta purtroppo è negativa.

Poiché sono provvedimenti amministrativi, essi avrebbero dovuto contenere una puntuale motivazione in ordine alle scelte compiute, a dimostrazione che le singole disposizioni avessero rispettato quelle condizioni, e cioè: che fossero necessitate da specifiche circostanze; che le restrizioni fossero proporzionali e non eccedenti rispetto ai rischi della pandemia; fossero assistite da ragionevolezza nel comprimere i diritti costituzionali soppesando le sicure conseguenze afflittive con i benefici attesi; che fosse stato effettuato il bilanciamento tra interessi pubblici e dei cittadini e imprese. Non ostante la pletora di comitati e di esperti, in tutti i Dpcm non è spesa una parola di motivazione che non sia il mero richiamo alla situazione emergenziale. Così detta: “Motivazione apparente”.

La motivazione, in questo caso, non è solo requisito di legittimità, ma è un elemento costituivo del provvedimento. Il rispetto dei limiti costituzionali non può essere presunto solo perché si constata di essere in una situazione di emergenza, ma deve essere dimostrato misura per misura, appunto attraverso la motivazione. Questa non può essere sostituita da un giudizio ex post del Parlamento o del giudice adito, perché solo il Governo è in possesso delle informazioni necessarie per tale giudizio e perché la lesione costituzionale avviene immediatamente, mentre quel giudizio è successivo. La totale mancanza di motivazione, facendo venire meno la prova, esclude l’avvenuto rispetto dei limiti.

A questo scopo non sono sufficienti le conferenze stampa, le dichiarazioni degli esperti, i proclami, le Faq dell’ufficio stampa. Occorrono dati, documenti, tutti resi pubblici e allegati ai Dpcm, e l’esposizione ragionata, nella motivazione scritta, dei legami logici tra i dati e le decisioni.

La presidente della Corte ha indicato nella Costituzione una bussola indispensabile per i cittadini e le Istituzioni, anche nelle situazioni di crisi. Ineccepibile. Ma dobbiamo ricordare che la Costituzione, oltre che riconoscere i poteri, le facoltà, i diritti e i doveri di tutti gli attori costituzionali, contiene norme e principi per armonizzare l’attività di tutti essi stabilendo soprattutto i modi in cui essi interagiscono per raggiungere lo scopo fondamentale, cioè l’equilibrio degli interessi. Attraverso questi processi si realizza la democrazia come procedura, non nel significato burocratico, ma come processo dinamico.

I Dpcm sono stati criticati non perché hanno limitato la libertà di culto o circolazione, ma perché lo hanno fatto violando proprio quell’equilibrio affidato alla leale collaborazione tra le istituzioni definita dalla Presidente “un valore costituzionale”.

La compressione dei diritti costituzionali può quindi avvenire solo nel rispetto della “procedura democratica” la quale prevede il fatto indefettibile che norme giuridiche che incidono su diritti dei cittadini, soprattutto se costituzionali, siano dettate solo dal Parlamento, o con il consenso di questo, perché è lì che il popolo esercita la sua sovranità.
A tale scopo, nelle nostre precedenti analisi avevamo osservato che, anche se non esiste in Costituzione uno “stato di emergenza”, è stato però previsto uno strumento per affrontare le situazioni di necessità ed urgenza, cioè il decreto legge, che coinvolge il Parlamento in fase di conversione, e che è il fulcro della soluzione al problema. Al decreto legge quindi andava affidato il compito di introdurre direttamente le misure restrittive, senza delegarle incostituzionalmente tutte al presidente del Consiglio.

Nel solipsismo con cui il presidente del Consiglio ha governato l’intera emergenza è il vulnus costituzionale. Questa solitaria cavalcata ha prodotto norme immotivate e incomprensibili. Ha spogliato il Parlamento della sua funzione normativa, delegandola al governo senza fissare criteri o principi direttivi, e attribuendogli così una discrezionalità mai vista prima d’ora, che, in mancanza di motivazione, si è trasformata in arbitrio.

Per la Fase 2 il Dpcm ripete gli errori. Sia le nuove disposizioni restrittive, sia le eccezioni per la ripresa di alcune attività produttive, sono del tutto immotivate, e determinano incertezza e confusione. Dinanzi alle quali il governo si è inventata una vera amenità giuridica annunciando che i dubbi interpretativi saranno chiariti dalle Faq del sito del governo. Mai visto e inammissibile: le Faq nuova fonte del diritto autentico!

Per concludere, nella Fase 2, il governo dovrà abbandonare il sistema dei Dpcm facendo ricorso al decreto legge con ampia e leale cooperazione con il Parlamento. In caso contrario saremo travolti da un poderoso contenzioso, anche costituzionale, ultima chance del sistema Paese in crisi dinanzi alle contraddizioni e mancanze del Governo, che paralizzerà qualsiasi ripresa.

Questa solitaria cavalcata ha prodotto un regime giuridico del tutto privo di motivazione e di comprensibilità. Spogliando il Parlamento della sua funzione normativa, delegandola in pieno, e senza criteri direttivi né principi, a un atto amministrativo, attribuendo così al governo una discrezionalità mai vista prima d’ora. Esercitata poi in maniera apodittica e immotivata quindi arbitraria.

La sospensione della Costituzione, senza un perché. L’analisi di Zucchelli

Di Claudio Zucchelli

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