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Nella giornata di mercoledì il Pentagono ha concluso la revisione di due progetti volti a finanziare attività d’estrazione e lavorazione sul suolo americano di alcuni metalli strategici per l’industria della Difesa. A renderlo noto l’agenzia Reuters.

L’iniziativa rappresenta un altro passo per rivitalizzare l’industria mineraria americana da quando, lo scorso luglio, l’amministrazione Trump aveva incaricato il Pentagono.

Ad aprile, l’americana MP Materials e la compagnia mineraria australiana Lynas Corporation si sono aggiudicate i fondi, salvo dover superare alcune misure di controllo che il Pentagono si è riservato sotto pressione di alcuni senatori (tra cui Ted Cruz, che lo scorso maggio aveva proposto l’Onshoring Rare Earths Act of 2020, sulla scia di importanti rapporti delle agenzie federali) e funzionari del Dipartimento dell’Energia.

Il tema, infatti, è tornato estremamente attuale nel dibattito politico americano grazie anche alla pandemia da coronavirus, che ha segnalato l’assoluta dipendenza degli Stati Uniti dalla Cina. In un’accesa invettiva contro Pechino la settimana scorsa, William Barr, Procuratore generale, ha rimarcato quanto questi metalli giochino “un ruolo vitale nelle nostre industrie, dall’elettronica ai dispositivi medici fino all’hardware, e oggi gli Stati Uniti vivono una pericolosa dipendenza dalla Cina”.

Nel tardo pomeriggio di ieri, intanto, alla Camera un gruppo bipartisan di deputati ha lanciato il Critical Materials Caucus, volto a legiferare per finanziare la ricerca nei laboratori del Dipartimento dell’Energia. “E’ più importante che mai”, ha riferito Guy Reschenthaler, deputato repubblicano del Pennsylvania e chairman del gruppo, “per la nostra nazione di lavorare verso l’indipendenza per questi minerali cruciali”.

Ma qual è la reale potenzialità e criticità delle terre rare in termini commerciali? Intervenuti nel podcast di Jackie Northam su NPR, alcuni esperti del settore hanno detto la loro. Secondo Jim Kennedy, fondatore dell’agenzia ThREE Consulting e tra i principali critici dell’attuale strategia dell’amministrazione, seppur il mercato di questi minerali sia “tra i più piccoli del mondo”, la produzione di questi 17 elementi della tavola periodica diventa cruciale per un indotto di prodotti finiti (automobili elettriche, jet, cellulari etc.) “dal valore di 7 trilioni di dollari”.

Ryan Castilloux di Adamas Intelligence, azienda di consulenza indipendente, evidenzia come MP Materials, il player più importante del contesto americano, oggi sia costretto ad inviare il materiale in Cina (più di 50.000 tonnellate all’anno) per poter essere trasformato in magneti e leghe metalliche. Un “problema a più facce” che l’amministrazione non ha ancora del tutto affrontato dal punto di vista dell’intera catena del valore.

L’amministrazione Trump, infatti, vede la questione come principalmente un problema di sicurezza nazionale. Ecco perché il Pentagono è diventato il principale punto di riferimento, dal momento che molte delle componentistiche dei sistemi d’arma americani sono essenzialmente dipendenti dalla fornitura di metalli oltreoceano. Per diversificare le sue supply chain, il Dipartimento della Difesa ha incaricato MP Materials (azienda che detiene i diritti d’estrazione sulla miniera di Mountain Pass) di procedere con l’estrazione di praseodimio e neodimio, due elementi essenziali per la fabbricazione di magneti.

La storia dell’azienda californiana è, tuttavia, l’esempio lampante dei fallimenti che si sono susseguiti con il consolidarsi del monopolio cinese. La miniera situata nel deserto del Mojave, infatti, è stata la principale fornitrice di terre rare da 1950 al 1990, utilizzate per la fabbricazione di TV a colori, componenti elettroniche e per l’industria della Difesa durante la Guerra fredda. Con la fine di quest’ultima e le stringenti regolamentazioni ambientali, l’azienda (allora Molycorp) fallì, schiacciata dai debiti e incapace di competere con i prezzi cinesi.

Oggi MP Materials – l’azienda che è subentrata alla ristrutturazione della corporate governance della miniera dopo il fallimento nel 2015, con l’ingresso dell’hedge fund JHL Capital Group in un consorzio finanziario con un fondo cinese, Shenghe Resources Holding Co, nel mirino delle agenzie federali – con i fondi del Pentagono potrebbe dotarsi di una rinnovata fase di processazione del materiale grezzo.

Inoltre, come riportato da Reuters, l’azienda ha annunciato mercoledì scorso una fusione da 1,47 miliardi di dollari con una private-equity, facendo così di MP Materials la prima azienda mineraria ad entrare nella New York Stock Exchange, e segnalando così l’accresciuto interesse di Wall Street per un reshoring della produzione di minerali strategici negli Stati Uniti. JHL Capital e QVT Financial, dunque, diventano proprietarie di MP Materials sotto una special purpose acquisition company (SPAC), Fortess Value Acquisition Corp, controllata dalla giapponese SoftBank Group Corporation.

Secondo i dettagli dell’accordo, non è chiaro se le quote di Shenghe Resources (10%) rimarranno nella nuova architettura di proprietà pubblica. Ad entrare nel nuovo board dell’azienda anche Richard Myers, generale ritiratosi e precedente chairman del Joint Chiefs of Staff durante la Presidenza di George W. Bush.

Nonostante la nuova proprietà, James Kennedy ha sollevato alcune perplessità nell’accordo tra l’azienda e il Pentagono, con la prima che avrebbe promesso al secondo un “mine to magnets” business plan. “Questa azienda” ha scritto Kennedy, “sarà altamente suscettibile alle manipolazioni dei prezzi di mercato”, dal momento che i suoi “margini di profitto sono basati unicamente su due elementi [praseodimio e neomidio, n.d] degli otto che può produrre”.

Dal punto di vista della sicurezza nazionale, inoltre, il deposito di Mountain Pass non può produrre “metà delle altre terre rare” che sono “cruciali per la maggior parte dei magneti che sono usati nei sistemi guida degli armamenti, nei computer quantistici e nelle apparecchiature mediche”. Secondo Kennedy, l’affare rischia di essere un grosso buco nell’acqua: “la storia recente ci mostra come i capital markets americani scelgano un campione come produttore nazionale di terre rare ad esclusione di tutti gli altri”.

USA Rare Earth, l’azienda che gestisce il progetto della miniera di Round Top Mountain in Texas, è un’altra realtà impegnatasi a fornire, entro tre anni, all’industria della Difesa terre rare (in particolare per la produzione di magneti permanenti), altri elementi come litio, uranio e berillio e in generale a rispondere alla chiamata del governo per costruire un’intera supply chain domestica su sollecitazione del Pentagono.

Tra i direttori del progetto, a marzo l’ex generale dell’US Army Paul J. Kern è stato nominato in qualità di esperto e membro del Defense Science Board. Con la designazione delle terre rare come “essenziali per la difesa nazionale” sotto il Defense Production Act della scorsa estate, Pini Althaus, CEO dell’azienda texana, ritiene che il sito, forte di 16 dei 17 elementi, possa diventare un prezioso asset per l’industria mineraria statunitense.

Interpellato ieri da Fox Business, Althaus ha rimarcato come la Cina, quando si parla di terre rare e minerali critici, sia “interessata a solidificare la sua posizione monopolistica per diventare una superpotenza manifatturiera mondiale”, non solo di componenti militari, ma anche di materiale medico e tecnologico. Per farlo punta a “controllare l’intero flusso delle terre rare”. Per questo gli stati importatori non “possono avere supply chain sicure” e rimangono in una “situazione molto precaria”, e questo vale “tanto per gli Usa quanto per l’Europa”.

L’azienda australiana Lynas Co., è l’altro campione scelto dal Pentagono per rilanciare la produzione in un progetto pilota in Texas, dopo l’annuncio di aprile. Seppur declinando di confermare i finanziamenti federali, il CEO di Lynas Amanda Lacaze, interpellata dal The Sidney Morning Herald, ha dichiarato che il progetto texano fornirà “heavy rare earths” che hanno applicazioni militari, indipendentemente dal finanziamento del governo, per assicurare una supply chain agli Stati Uniti.

A conferma delle previsioni di alcuni analisti, secondo i quali la Cina potrebbe sfruttare il monopolio sulle terre rare come arma negoziale (se non strumento geopolitico) nell’attuale guerra tecnologica, Lacaze ha confermato l’irrequietezza dei consumatori di terre rare rispetto alle minacce della Cina di sanzionare Lockheed Martin, in seguito alle schermaglie su Taiwan come raccontato da Formiche.net. “L’abilità [della Cina, n.d] di fare leva sulla sua forte posizione industriale come strumento politico è certamente innegabile”.

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