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I controrivoluzionari dell’inizio del XIX secolo erano stati chiamati “difensori del Trono e dell’Altare”, perché volevano ripristinare l’antico rapporto organico tra le due entità e principalmente perché avevano una concezione teocratica della società e dello stato.

Maurras, nel clima stagnante dalla III Repubblica con il suo parlamentarismo grigio ed irresponsabile, i suoi intrallazzi ed i suoi scandali, riuscì con l’opera Enquête sur la Monarchie a portare un soffio d’aria pura nella vita politica francese a cavallo del XIX e del XX secolo, mutando, come disse Léon Daudet “l’orientamento politico di tutta la gioventù pensosa della Francia e restaurando l’idea monarchica ed un’attiva dedizione al sovrano”.

È infatti proprio l’Enquête, apparsa inizialmente in tre volumi tra il 1900 ed il 1903, a dare all’Action Française la sua base dottrinaria ed i suoi orientamenti di fondo, in poche parole a dare al mondo monarchico i contenuti che in seguito saranno sviluppati e sistemati in molte altre opere, prima fra tutte in “Mes idées politiques” necessari per passare finalmente al contrattacco.

Naturalmente oggi dall’opera di Maurras ‑ va subito sottolineato ‑ occorre estrapolare la parte propriamente revancista e strettamente nazionalistica che poteva avere un qualche senso solamente nel secolo XIX e nel XX secolo.

Come pure ci pare inutile soffermarci diffusamente in questa sede sulla critica che l’autore muove al sistema democratico parlamentare.

Basterà qui solamente ricordare la mirabile intuizione che egli ebbe nel distinguere tra “paese legale” e “paese reale”, intendendo per “paese legale” il complesso delle sovrastrutture parlamentari, burocratiche, amministrative, impersonali ed irresponsabili che pretenderebbero ‑ e non lo fanno ‑ di guidare e governare; “il paese reale” con le sue aspirazioni, le sue speranze, le sue competenze professionali, i suoi problemi, le sue autonomie, le sue tradizioni, i suoi sentimenti; un paese reale che non è altro che il sangue, la carne, lo spirito di una nazione.

Distinzione, quella tra il “paese reale” ed il “paese legale”, che spesso si trasforma in un vero e proprio contrasto.

Quel che, invece, ci preme, in questa occasione, mettere in evidenza dell’impianto dottrinario di Charles Maurras è la parte, diremmo così, positiva e costruttiva della sua proposta politica, che si incentra su alcuni punti fondamentali e caratterizzanti che si possono grosso modo riassumere in questi:

  1. a) ripristino dell’ordine;
  2. b) decentralizzazione;
  3. c) monarchia tradizionale ed antiparlamentare.

Maurras capì bene che il problema della restaurazione dell’ordine è strettamente collegato a quello della restaurazione di alcuni valori ed, inoltre, che l’ordine non può non essere “conforme alla natura della nazione francese e alle regole della ragione universale”.

Ed è proprio il fatto che si tratti di un ordine naturale e conforme al genio della nazione di cui si tratta a segnare la linea di demarcazione, a parte tutto il resto, tra la costituzione repubblicana, che è il frutto di pochi ideologi staccati dal paese reale, e la costituzione monarchica che è “precisamente la costituzione naturale e reazionaria del paese (….) ed il regno del Re non è che il ritorno al nostro ordine», «considerato che la comunità nazionale, la Patria, lo Stato non sono delle associazioni sorte da una scelta personale dei loro membri, ma opere della natura e della necessità”.

Ma veniamo al secondo caposaldo del pensiero del Nostro: la decentralizzazione.

Maurras non può non constatare che “il cittadino, in tutta la sfera di attività in cui è competente e direttamente interessato, in tutto ciò che ha capacità di conoscere e quindi di giudicare, è presentemente uno schiavo”, accorgendosi il Nostro che “la libertà è un diritto sotto la repubblica, ma è soltanto un diritto” e non un fatto concreto, in quanto il cittadino abbandonato a se stesso “si trova con le sue povere forze individuali a dover lottare contro l’enorme meccanismo dello Stato”.

Da ciò, da un canto, la necessità di respingere la concezione atomistica dell’uomo, dall’altro, l’esigenza di rivalutare tutte quelle comunità libere, delle quali il cittadino è partecipe “(la sua famiglia, il suo comune, la sua provincia, la sua corporazione ecc.) che impiegherebbero le loro forze a salvaguardarlo da ogni arbitrio ingiustificato”.

Proprio per questo Maurras auspica la formazione di una miriade di repubbliche: repubbliche domestiche come le famiglie, repubbliche locali come i comuni, repubbliche morali e professionali come le associazioni e le corporazioni, che tutte dovranno amministrarsi liberamente e senza alcuna ingerenza dello Stato, che dovrà solamente indirizzarle e coordinarle.

E qui necessariamente si pone il discorso sul vertice dello Stato e, quindi, sul terzo aspetto fondamentale della proposta politica maurrassiana: la monarchia tradizionale.

Per delineare, seppur brevemente, lo Stato che ha di vista Maurras non possiamo a questo punto tralasciare la critica che rivolge al mondo della democrazia e, più particolarmente, al mondo dei partiti politici che rappresentano la struttura portante del parlamentarismo repubblicano.

“Cos’è il governo della Repubblica? ‑ egli dice ‑ È il governo dei partiti, o non è. Cos’è un partito? Una divisione, una ripartizione (…) Nessun risultato politico si ottiene, nel normale funzionamento del regime, se non attraverso quest’operazione separatrice e questa lotta intestina. Così si arriva agli onori. È il gioco dei partiti ad eleggere, (….) La Francia è dilaniata perché coloro che la governano non sono uomini di Stato, ma uomini di partito. Onesti, pensano solo al bene d’un partito: disonesti, a riempirsi le tasche. Gli uni e gli altri sono i nemici della Francia. La Francia non è un partito”.

Da ciò, come conseguenza logica, la Monarchia antiparlamentare e tradizionale.

Antiparlamentare e tradizionale perché da un canto egli nega validità alle impalcature stesse della democrazia, i partiti politici, dall’altro propone l’istituzione delle rappresentanze di tutti i corpi sociali e morali della nazione: dalle corporazioni professionali alle Camere di commercio ed industria, dalle Accademie delle arti e delle scienze e della cultura agli ordini religiosi e militari, dalle province e dai comuni alle famiglie.

Infine la figura e la funzione del Re.

A questo punto dovrebbe essere chiaro che il vertice dello Stato, rappresentato dal Re, non ha affatto caratteristiche dispotiche ed accentratrici, tantomeno velleità populistiche e bonapartiste, la problematicità e la delicatezza del problema dei rapporti intercorrenti tra libertà ed autorità essendo sempre presente nel pensatore francese.

“Il potere regio dovrà rendere al cittadino la disponibilità e la sovranità di quel dominio che gli fu strappato, contro giustizia e contro utilità, mettendo in pericolo la forza della patria (….) Lo Stato ‑ invece ‑ rappresentato dal potere regio in tutte le alte e lontane questioni di politica generale che sfuggono alla competenza e al giudizio dei cittadini privati, sarà reintegrato nei suoi diritti naturali e razionali, che sono l’indipendenza e l’autorità. Il cittadino glieli abbandonerà tanto più volentieri, in quanto ‑ essendo egli stesso nell’impossibilità di esercitare quei poteri necessari ‑ egli è oggi il primo a soffrire, tanto nel suo patrimonio quanto nella sua dignità, dell’assenza di una protezione e direzione nazionale (….) Così saranno conciliati nel nuovo reame di Francia, conformemente alle sue tradizioni nazionali, autorità e libertà, entrambe, allo stesso modo necessarie”.

In conclusione possiamo dire senza tema di smentite che per Charles Maurras, come del resto, per tutto il miglior pensiero controrivoluzionario europeo, il Re tradizionale non è né tiranno né fantoccio e si serve della macchina statale solo per coordinare, indirizzate le varie forze sociali, non prescindendovi né restandovi strumento. Insomma, come disse Mirabeau, “il Re è là, come il sole al centro del suo sistema; esso da luce, vita, calore”.

Luce, vita e calore che sarebbero tanto necessari al mondo ed all’uomo moderno

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