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“Se ragionassimo con un pensiero attinente al passato, quello che ci troviamo davanti sarebbe il contesto perfetto per un nuovo grande conflitto. C’è una crisi economica forte, quella prodotta dalla pandemia; c’è un soggetto che finora è stato ago della bilancia e dittatore dell’equilibrio, come gli Stati Uniti, avviato su una fase di contrazione; ci sono medie potenze che approfittano della disarticolazione di un sistema per quelle che una volta si definivano avventure politiche“. Antonello Folco Biagini, storico della Unitelma Sapienza spiega con una fotografia preoccupante la situazione libica, una guerra che è in fase di escalation, che vede il coinvolgimento di vari attori esterni all’interno del conflitto civile tra il governo onusiano di Tripoli e il signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar.

“È vero – continua Biagini – che non è una frase fatta dire che l’epidemia sta effettivamente cambiando molti paradigmi geopolitici, ma la Libia da un certo punto di vista sembra una crisi tradizionale. C’è stato un sistema autoritario che ha tenuto insieme tre personalità territoriali, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, e quando è crollato il Paese s’è disarticolato, con la creazione di spazi per la penetrazione di quegli attori esterni, anche perché nessuno tra gli altri grandi soggetti ha voluto prendere posizioni definitive. Pensiamo per esempio agli Usa, o alla Nato, ma anche all’Onu”.

Per il docente è difficile prevedere come potrà finire questa crisi, perché nessuna di quelle tre anime libiche “sembra aver interesse a integrarsi con le altre: difficilmente potranno essere riunite, ma anche una federazione sembra complicata. Chi la tutelerebbe dal punto di vista politico? Chi ne sarebbe garante?”.

Biagini spiega che Turchia e Russia sono attori che hanno creato in Libia come sulla Siria della “sfere d’intervento” che però non prevedono la stabilizzazione di lunga durata: “Non si tratta di alleanze”.

“Tra l’altro – aggiunge – dobbiamo essere franchi nel dire che la situazione delicata che si sta innescando superi l’oggetto del contendere. La Libia ha una ricchezza legata al petrolio, che è un bene destinato alla svalutazione. Però è anche vero che quando si parla della crisi libica si deve inserire la situazione in un contesto allargato a tutto il Mediterraneo”.

Sul tema, Biagini ha curato un volume edito da Castelvecchi, “Tripoli, Italia. La politica di potenza nel Mediterraneo e la crisi nell’ordine internazionale”. Una relazione strategica tra Italia e Libia sembra essere fondamentale per la stabilità del Mediterraneo: il rischio, si scrive, è che in sua assenza, possa far “ritorno quel grande gioco tra potenze che costituisce, al contempo, un indicatore della più ampia crisi dell’ordine internazionale”.

E  dunque, l’Italia? “Roma – spiega il docente – deve immaginare un suo ruolo in Libia. La conformazione geografica italiana ci pone come necessità strategica il controllo dell’altra sponda. È una questione che può rientrare nelle politiche di sicurezza che un Paese come il nostro dovrebbe avere”.

L'Italia alla prova libica. Le priorità strategiche spiegate dal prof. Biagini

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