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Dal “rischio per il popolo americano è basso” alla dichiarazione dello “stato di emergenza” nazionale sono passate appena 48 ore. Con la conferenza stampa di ieri sera il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha cercato di rassicurare sulle volontà e capacità di reazione statunitense all’emergenza coronavirus. “La risposta della libertà”, così la chiama una fonte diplomatica del mondo Usa-Italia, è arrivata effettivamente con qualche giorno di ritardo, ma è “una boccata di ossigeno” perché significa che Washington ha ingaggiato con maggiore convinzione la battaglia globale contro il virus e recuperato terreno sulla narrazione che Pechino sta spingendo worldwide attorno al “modello cinese”.

La sottolineatura arriva prima della descrizione delle misure adottate, perché non è argomento secondario. Anzi: sulla crisi epidemica è in gioco molto dell’ordine mondiale futuro, ogni mossa va seguita in proiezione strategica su quello che sarà il nostro dopoguerra. La Cina spinge con sharp power una narrazione in cui si vuol descrivere come paradigma globale, dimenticando che la gran parte delle cause dietro alla pandemia sono da intestarsi alla risposta lenta – o meglio, oscurantista – decisa proprio dai vertici del Partito comunista. L’atteggiamento iniziale degli Stati Uniti, con Trump che minimizzava al limite del negare l’esistenza del problema, non passava come un buon messaggio e rendeva debole l’America nel confronto globale con la Cina. E allora lo schema è cambiato

Allo step up di ier il  Congresso – l’organo più ideologico attorno a cui si snodano i valori profondi della democrazia americane e occidentali – ha risposto. Nancy Pelosi, la Speaker della Camera e capofila dell’ostruzionismo democratico a Trump, ha avallato la richiesta di extra bilancio da 50 miliardi di dollari per far fronte alla crisi. È una necessità, è un messaggio forte, e fa anche da ammissione di responsabilità implicita. Durante la conferenza stampa dalla Casa Bianca tutti i partecipanti, dal vicepresidente agli esperti, hanno cercato di sviare sul tema della sottovalutazione iniziale, hanno pressato sulle misure attuate, cercando di obliterare gli errori precedenti. Posizioni piuttosto logiche – così come la difesa del blocco-America-First dei voli dall’Europa, misura presa in forma unilaterale molto criticata dagli alleati che ha incrinato i rapporti transatlantici senza il supporto di una necessità scientifica.

Restano le pozioni dure prese da parte della comunità scientifica sia sul paragone fuorviante perpetrato da Trump tra COVID19 e influenza stagionale, sia sull’inefficacia delle misure adottate finora – si ricorda l’aspra critica di Science, tempio delle pubblicazioni scientifiche mondiali. Ma da ieri il gioco americano contro il virus sembra essersi fatto più duro. Non mancano le linee retoriche e propagandistiche, ma davanti a una crisi come quella attuale nessuno ne è immune. Trump per esempio ha parlato di un sistema creato da Google per facilitare i test – che negli Stati Uniti mancano, tanto che Jack Ma di Alibaba ha annunciato ieri di aver donato 500mila kit.

Il sistema di Google, per stessa ammissione di Mountain View, è qualcosa ancora in fase di sviluppo per l’area limitata della Baia, ma gli Usa hanno anche la necessità di fronteggiare la sfida tecnologica messa in campo con la risposta cinese al virus. Pechino ha messo in campo i pezzi pregiati dell’hi-tech, ma anche dimostrato che il sistema illiberale che ha fatto da sostrato alle applicazioni di AI e robotica non è riproducibile in un ambiente democratico: gli Usa devono rispondere con soluzioni efficaci anche sul piano delle libertà e dei diritti personali.

L’ultima volta che la Casa Bianca aveva dichiarato uno stato di emergenza per ragioni sanitarie era il 2009: Barack Obama lo decise per via dell’epidemia di febbre suina H1N1. Trump nei giorni scorsi era scivolato nel confronto col predecessore democratico, sostenendo che in quell’occasione l’amministrazione fece molto meno di quanto stia facendo lui adesso. Affermazioni rapidamente smentite: il primo caso di COVID19 negli Stati Uniti risale a oltre 50 giorni fa, e per ora sono stati effettuati test su poco più di 10mila persone, mentre nel primo mese della suina Obama ordinò oltre un milione di campionamenti e dichiarò subito lo stato di emergenza. Ma Trump ieri è corso ai ripari.

Trump mette in campo i valori democratici nella lotta al Covid19

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