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Non si può escludere a priori una proposta di maggiore concentrazione industriale europea nel campo dei lanciatori spaziali, anche se arriva da Parigi e soprattutto se mira ad affrontare una crescente competizione internazionale. Certo, “l’Italia dovrà muoversi correttamente a livello di sistema, mettendo da subito in chiaro con gli altri attori che possiamo essere disponibili a un’ipotetica concentrazione solo se in essa tutti vedranno riconosciuto il loro ruolo, e non nel caso in cui diventi una concentrazione a favore di uno”. Parola di Michele Nones, vice presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), che con Formiche.net ha commentato la proposta del ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire: un avvicinamento tra i tre player europei di vettori spaziali, la transalpina ArianeGroup, la tedesca OHB, e l’italiana Avio di Colleferro.

Come legge la proposta del ministro francese?

La proposta era già emersa tempo fa, ma sicuramente non con questa impostazione e non direttamente da fonte così autorevole. Un’ipotesi di concentrazione europea era emersa quando ci fu lo scorporo delle attività spaziali da quelle aeronautiche del vecchio gruppo Avio, precedentemente Fiat. Prima della divisione, tra i potenziali acquirenti emersero i francesi. Ora la proposta è differente.

Cosa cambia?

Prima di tutto riguarda anche un terzo soggetto, la tedesca OHB che finora non era stata coinvolta. Inoltre, mentre allora si trattava di un’ipotesi di acquisizione di quote di una società italiana, adesso si ipotizza la costruzione di un grande gruppo transnazionale. In più, non arriva da una fonte di carattere industriale, ma da una fonte politica molto autorevole e come tale va considerata, a partire da una riflessione che tenga conto delle passate esperienze di concentrazioni europee che si siano dimostrate di successo.

A quale realtà pensa?

La concentrazione di maggiore successo è quella avvenuta nel campo della missilistica con la creazione di MBDA, oggi campione europeo in questo settore, tra i grandi gruppi mondiali della missilistica, capace di garantire il mantenimento delle capacità del Vecchio continente. È una realtà molto singolare, perché ha messo insieme ciò che prima era gestito da società autonome in Italia, Francia e Inghilterra, e in parte in Germania. Presenta inoltre una governance articolata, poiché basata sulla presenza di tre grandi gruppi azionisti: Leonardo (25%), Airbus e BAE Systems, entrambe al 37,5%. Oltre a quote azionarie abbastanza equilibrate, c’è soprattutto un accordo di governance che consente a tutti i soci di avere un potere di veto nei confronti di operazioni considerate potenzialmente ostili, insieme a un complesso meccanismo atto a garantire che nella gestione della società tutte e tre le componenti nazionali (e in parte quella tedesca) vedano preservato il loro coinvolgimento.

Potrebbe essere un modello di riferimento per il settore dei lanciatori?

Sicuramente un insegnamento utile, soprattutto nei presupposti del suo successo. Per MBDA, sono da rintracciare non solo nella comune volontà di garantire all’Europa di avere un gruppo in grado di competete con colossi americani (e non), e nemmeno solo dalla comune volontà di garantire l’un l’altro le componenti nazionali, ma anche in un percorso fatto di passi che sono andati nella stessa direzione a livello politico.

Ci spieghi meglio.

Il successo è stato garantito da tutti i Paesi che hanno supportato le rispettive componenti nazionali di MBDA attraverso importanti programmi di ricerca, sviluppo e acquisizione. Se la partecipazione della singola società fosse puramente finanziaria e non vedesse un corrispondente e continuo investimento del sistema-Paese (e del governo in particolare), il rischio di vedere sbilanciata la presenza nazionale diventerebbe molto più grande.

Sta descrivendo le condizioni che l’Italia potrebbe porre all’integrazione industriale.

È quantomeno l’insegnamento di MBDA: meccanismi corretti, una governante equilibrata, l’assenza di disparità eccessive e poi, alla fine, soprattutto la volontà del singolo governo di continuare a presidiare quel terreno.

Sembra che la differenza la faccia la politica, e quella francese pare ben determinata. È così?

Che i francesi siano coinvolti in molte iniziative di concentrazione industriale non è dovuto necessariamente a campanilismo. Nell’Unione europea post-Brexit, la Francia è il più grande attore tecnologico e industriale nel campo della Difesa. È inevitabile che tali iniziative la vedano coinvolta.

A tal proposito, c’è un operazione tra Fincantieri e Naval Group. Un’altra iniziativa a cui guardare per il settore spaziale?

È un secondo esempio che si può tenere in considerazione, sperando che abbia lo stesso successo del primo. Qui, essendoci solo due attori, la questione potrebbe sembrare più facile. In realtà, è ancora più importante che l’Italia supporti Fincantieri nell’iniziativa, cercando di favorire il massimo coinvolgimento di tutto il sistema industriale nazionale e garantendo un supporto governativo identico a quello garantito nel campo della missilistica, così che si possa continuare ad alimentare la filiera italiana. Poi servono regole di governance e garanzie, in parte già previste e in parte da alimentare ulteriormente. Certo, ci sono anche iniziative di concentrazione industriale europea di minore successo. Non per questo però bisogna avere paura di accettare le sfide. Bisogna piuttosto essere in grado di sostenerle.

Suggerisce quindi di valutare la proposta di Le Maire?

Credo che non si possa rifiutare a priori la valutazione di un accordo a livello europeo, ma va anche chiarita sin dall’inizio la nostra disponibilità come Paese a partecipare a iniziative in cui sia garantito il ruolo dell’Italia, soprattutto a livello di mantenimento e sviluppo di capacità tecnologiche e industriali. In un momento di particolare delicatezza come questo, non sappiamo quanto possa prendere corpo la proposta, ma una riflessione va fatta e va dedicata al mercato.

La competizione internazionale sui lanciatori pare spietata.

Sì. La forza dei grandi gruppi americani, vecchi e nuovi, non può essere contrastata da un’industria europea coordinata (ArianeGroup, Avio e OHB già cooperano sugli stessi programmi) ma non concentrata. Tutti e tre i soggetti europei hanno troppi svantaggi nei confronti della competizione internazionale, e credo per questo che la proposta debba essere presa in seria considerazione.

Eppure c’è chi la guarda con qualche preoccupazione.

Dal punto di vista italiano, può essere guardata con minore preoccupazione rispetto a quanto avremmo dovuto fare un paio d’anni fa. Come Paese abbiamo infatti finalmente rafforzato la capacità di sviluppare una politica spaziale nazionale, adottando le necessarie decisioni in termini di gestione con la costituzione di un Comitato interministeriale presso la presidenza del Consiglio e, al di sotto, una cabina di regia. Il primo successo è arrivato all’ultimo vertice dell’Agenzia spaziale europea (Esa), dove l’Italia ha visto riconosciuto il proprio ruolo fondamentale nel quadro dello Spazio europeo. Da non dimenticare che, oltre al rafforzamento della gestione politica, la nostra forza è stata legata all’aver messo sul piatto un importante impegno finanziario, il quale ha dato corpo alla volontà italiana di rimanere attore in campo spaziale.

In sintesi, non vede il rischio che la Francia voglia prendersi Avio?

Vedo il rischio, ma credo che ora possiamo avere la forza di correrlo vincendo la battaglia, a condizione di muoverci correttamente a livello di sistema, mettendo in chiaro con gli altri attori che possiamo essere disponibili a un’ipotetica concentrazione a livello europeo solo se in essa tutti vedranno riconosciuto il loro ruolo, e non nel caso in cui diventi una concentrazione a favore di uno. Quindi, piedi per terra, coraggio e consapevolezza che ce la possiamo fare.

L’Opa francese sullo spazio e i lanciatori? Ecco le condizioni secondo Nones (Iai)

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