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Un boato ha nuovamente squarciato la notte di Teheran tra giovedì e venerdì. Un’altra esplosione nei quartieri occidentali della capitale iraniana. Pare sia saltato in aria il deposito missilistico in una caserma dei Pasdaran. È l’ultimo di una serie di sfortunati eventi, “incidenti” per il governo, che hanno colpito la Repubblica islamica. Prima di andare avanti vale la pena fare un rapido riassunto delle puntate precedenti. Il 26 giugno l’esplosione di una cisterna di gasolio nel complesso missilistico di Khojar; il 30 giugno una fuga di gas in un centro medico di Teheran; il 2 luglio è saltata in aria la sala di assemblaggio delle centrifughe nella centrale nucleare di Natanz; il 4 luglio c’è stata un’esplosione nello stabilimento di produzione energetica di Zargan e nello stesso giorno una perdita di cloro nel complesso petrolchimico di Karoun; il 7 luglio a Baghershahr un’esplosione in un impianto di produzione di bombole di ossigeno.

Il regime parla in forma ermetica: siamo a conoscenza dei fatti, sappiamo cosa sta accadendo, ma meglio evitare adesso commenti per ragioni di sicurezza, dicono i portavoce. I commenti più perspicui arrivano dopo i fatti di Natanz (di certo i più rilevanti). Le fonti ufficiali del governo dichiarano che un danno c’è stato, ma è sotto controllo.

Secondo gli esperti nell’analisi delle foto aeree, alcuni detriti dell’edificio danneggiato si trovano a 100 metri di distanza. Un dettaglio non da poco che dà fiducia a un primo elemento centrale: non è stato un incendio, ma un’esplosione dall’interno. Fonti molto meno ufficiali fanno sapere ai media internazionali che si crede a un attacco. Un sabotaggio estremamente preciso in termini di informazioni e efficacia. Forse un cyber-attack (col pensiero al precedente del 2010: l’Operation Olympic Game, l’hackeraggio alle centrifughe attraverso il virus Stuxnet). Oppure una bomba dall’interno. L’area è protetta comunque dai massimi sistema di difesa disponibili: a esplodere è stato il nuovo centro per l’assemblaggio delle centrifughe. Non un edificio qualsiasi.

Tanto per essere chiari, per compiere questo genere di operazioni, soprattutto quella a Natanz, servono mezzi sofisticati e preparazione elevatissima. Ma non solo, all’infallibilità tecnica va abbinata una grossa dose di coraggio: se qualcosa dovesse andare storto sarebbe una condanna a morte e una figuraccia che rafforzerebbe l’Iran. Chiaro il perché dunque ci si sia rapidamente concentrati su Stati Uniti o Israele (oppure “e”): gli unici due paesi pubblicamente nemici degli ayatollah, adeguatamente preparati, sufficientemente sfrontati per agire, politicamente in grado di assorbire il colpo (anche a livello internazionale) di una eventuale escalation se qualcosa fosse andato storto o fossero stati scoperti (che poi coincide).

Per il New York Times e il Washington Post, che hanno informazioni dall’amministrazione Usa (lato intelligence, Pentagono e dipartimento di Stato), l‘ipotesi è in un’azione profonda del Mossad. Mix di sabotaggi fisici e digitali. Potrebbe essere stata impegnata l’Unità 8200 (hacker la cui realtà supera l’immaginazione delle serie Tv), ma anche infiltrati in grado di piazzare ordigni raffinati (ce l’avete presente la serie Netflix israeliana “Teheran”?). Il pezzo più importante finora lo firmano però David Sanger, Eric Schmitt e 

Interessante leggere tra le righe dell’infowar. Chi passa informazioni ai media lo fa anche per screditare l’Iran. Un gigante debole, che si fa infiltrare e attaccare in punti altamente sensibili, come Natanz o i centri missilistici. Al Jarida, un media kuwaitiano da cui le intelligence israeliane fanno uscire notizie in forma ben argomentata, dice che nel caso di Khojar potrebbe essere stato un attacco aereo. Sono gli Adir? Gli F-35 israeliani hanno sorvolato Teheran e Bandar Abbas nel marzo 2018 senza essere visti: quando la notizia è filtrata ai media, al Jarida raccontava che era costata la testa del capo dell’Aeronautica militare dell’Iran, il generale Farzad Ismail. Un imbarazzo mostruoso. Anche in quel caso, diventato pubblico lo scorso anno, i giornalisti kuwaitiani erano molto ben informati.

Attenzione ai messaggi. Se le spifferate alle stampa servono a chi attacca a inviare indizi, anche l’aggredito potrebbe trovarne vantaggi. La componente più agguerrita dei Pasdaran, collegata al mondo dell’industria militare e viva nel Paese attraverso un sistema mafioso con cui si sostituisce allo stato, ha bisogno di sfamare l’ideologia anti-occidentale.

Lo scontro è linfa, serve a mantenere attivi i proseliti, cura i consensi, soprattutto sfama interessi, permette rendite di posizione e presa sul potere. E tutto conta nel contesto interno al paese, dove i conservatori vogliono riprendersi il posto che da due mandati presidenziale è occupato dai pragmatisti delle presidenze Rouhani. Per questo le ali più intransigenti cercheranno qualche genere di risposta, mantenendo a loro volta l’intensità accettabile. Vendette da vendere al pubblico, danni al nemico da poter fotografare (come il Global Hawk americano abbattuto lo scorso anno sopra lo Stretto di Hormuz e ricostruito dai rottami). Azioni eclatanti magari, ma allo stesso tempo controllate: nessuno vuole una guerra totale, ma tutti vogliono mantenere in piedi lo scambio di colpi. Chissà quanto avranno rallentato il programma nucleare i danni subiti a Natanz?

 

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