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Emmanuel Macron avrebbe dovuto incarnare l’ideale liberista e liberale e sarebbe dovuto essere il campione della solidarietà tra i Paesi europei. Proprio per questo fu acclamato da tutte le elité del mondo all’esito delle elezioni francesi e, soprattutto, per aver disinnescato la bomba sovranista “Marine Le Pen”.

Eppure nel suo ultimo discorso fatto nel giorno di Pasquetta, a reti unificate delle Tv francesi, nel quale annunciava la riapertura di tutte le attività comprese le scuole per l’11 maggio, la parola chiave e ripetuta più volte è stata “endependence” che in effetti stava per “sovranità”, parola oscena ed impronunciabile per uno come il presidente francese. Quanta acqua è passata sotto i ponti! Vi ricorderete che erano tutti macroniani da noi in Italia, quando era stato eletto: a partire da Matteo Renzi “La vittoria di Macron scrive una straordinaria pagina di speranza per la Francia e per l’Europa. En Marche! In cammino”; l’allora premier Paolo Gentiloni “Evviva Macron, una speranza si aggira per l’Europa”; Angelino Alfano, ex titolare degli Esteri “Può brindare la Francia e può brindare chi crede nell’Europa della libertà, della sicurezza, del libero mercato e della solidarietà”; Andrea Romano “Macron si è ispirato ad alcune proposte di Renzi, le sue proposte somigliano a quelle di Matteo”; Piero Fassino “Chiama anche il Pd a una duplice sfida: concorrere alla costruzione di un moderno riformismo europeo”; Gennaro Migliore “L’analogia tra Macron e Renzi sta nella loro capacità di innovare la sinistra”; Marianna Madia “Il messaggio più forte è che si può riuscire a cambiare l’Europa con la forza della politica”; Sandro Gozi, già sottosegretario a Palazzo Chigi “Sono amico di Emmanuel, sapevo che avrebbe vinto. Ha detto ‘mi ispiro a Renzi’ e quando Matteo vinse le primarie fu uno dei primi a sottolineare quell’affermazione. Hanno una visione e un progetto che li lega: cambiare l’Italia e la Francia per cambiare l’Europa”.

In effetti Macron era riuscito a vincere le elezioni, presentandosi proprio come il candidato del rilancio dell’Europa, della difesa comune del nostro continente, dell’europeismo “senza se e senza ma”, auspicando persino un “Buj European Act” del tipo di quello statunitense per privilegiare l’industria Ue nelle gare pubbliche e teorizzando un ulteriore trasferimento di sovranità nazionale, nella convinzione che oggi “La France c’est Europe”.

Conquistato l’Eliseo, questo politico costruito a tavolino si presentò subito con una faccia vecchia, dirigista, statalista, protezionista. Europeista a giorni alterni, solo quando fa comodo alle sue esigenze di potere, alla “Grandeur” della Francia ed erige barricate dentro i confini nazionali. Si muove tra retaggi sciovinisti e protezionismo economico, quindi nel segno della continuità con i suoi predecessori, per questo ci fece subito un paio di sgambetti e ci dette qualche schiaffo sonoro: da Fincantieri alla Libia, passando per la chiusura agli immigrati, pratica una politica nazionalista a tutto campo, senza guardare in faccia a nessuno. Per questo ha perso decine di punti di popolarità in Francia e in Europa, scendendo persino al di sotto del già bassissimo indice di gradimento a cui era arrivato Hollande. Indice che solo ora con la pandemia sta risalendo un poco.

Questo presidente, per difendere gli interessi del suo Paese, giustificò la nazionalizzazione dei cantieri navali di Saint-Nazaire con “la difesa dei posti di lavoro, la valenza strategica dell’impresa anche per il settore militare, la salvaguardia del suo patrimonio tecnologico”, nonostante la società italiana Fincantieri avesse raggiunto un accordo, quando all’Eliseo c’era ancora François Hollande. Ed anche oggi quando avrebbe dovuto tenere fede alla sua immagine precostituita di europeista convinto, solidale e comunitario, dice ai francesi: “Dobbiamo ricostruire l’indipendenza (n.d.a. Sta per “sovranità”) agricola, industriale e tecnologica francese”. Cioè dice ai suoi connazionali quello che dovremmo incominciare a fare anche noi italiani.

 

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