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Ormai è evidente a tutti la dimensione planetaria del brusco, o più probabilmente violento, rallentamento dell’economia mondiale a causa del Covid-19. Si moltiplicano le previsioni di Fondo monetario internazionale, Unione europea, Banche centrali, governi, centri di ricerca. Molto dipenderà, è ovvio, dal prolungamento delle quarantene cui i vari governi hanno sottoposto i loro cittadini, dal fermo o dalla bassa velocità delle macchine produttive nazionali, dalle misure che si metteranno in campo – sperabilmente in forma coordinata da parte dei Paesi del G7 e del G20 – per rilanciare l’economia dei singoli Paesi che, data ormai la globalizzazione dell’economia, avranno effetti sull’intero scacchiere internazionale.

Per l’Italia le previsioni – per quello che valgono in questi giorni – ipotizzano a fine anno una contrazione del pil del 5% rispetto al 2019. Naturalmente il risultato complessivo dipenderà dal momento in cui la macchina produttiva del Paese potrà ripartire a pieno regime e dalle misure che il governo e la Ue metteranno in campo, e pertanto ogni esercizio previsivo in questa fase appare, ad avviso di chi scrive, prematuro.

Una considerazione tuttavia merita di essere formulata: il nostro sistema industriale – pur con tutte le criticità che manifesta e sulle quali non è il caso di ritornare – ha tuttavia una capacità di accelerazione, quando essa è stata necessaria e quando sarà possibile, dimostrata già in passato. Il prof. Fortis ha più volte evidenziato con i suoi studi come in alcune filiere merceologiche l’Italia vanti primati mondiali assoluti, mentre in altre sia nelle prime posizioni: basta consultare al riguardo il sito della Fondazione Edison per averne contezza.

Ma anche in queste durissime settimane alcuni settori stanno producendo a pieno regime per assicurare agli italiani alimenti con i loro tanti contenitori, medicinali, biomedicali, macchinari per produrli, gas tecnici, pannolini e assorbenti, materie plastiche, energia, prodotti raffinati, carta per giornali, e già si è avviata, e la si sta intensificando, la produzione di mascherine, ventilatori, camici, dispositivi di protezione individuale. Le difficoltà non mancano, certo, lo vediamo tutti i giorni, ma il Paese sta rispondendo, spesso “all’italiana”, è fin troppo evidente, ma con slancio, creatività, con eroico spirito di sacrificio come quello dei nostri medici ospedalieri, infermieri e operatori sanitari: a volte, si lavora con geniale improvvisazione, ma l’Italia sta rispondendo.

Anche in larghe zone e fra tante imprese del Mezzogiorno tutto ciò sta accadendo: l’industria agroalimentare ben presente nel Sud con grandi gruppi settentrionali, esteri, ma anche meridionali, sta lavorando a pieno regime, e così l’industria farmaceutica con i big player Novartis, Sanofi, Merck, Pfizer, Angelini, Dompé, Kedrion e con aziende locali minori. La chimica con i grandi impianti della Versalis, della LyondellBasell, della Sasol sta producendo affiancata dalle aziende impiantistiche collegate nelle manutenzioni de vari siti.

Insomma si resiste, si combatte, si lotta con feroce determinazione per non perdere clienti, per rispondere alla domanda del Paese. E’ un fermento che alimenta speranza con la quale dovremo rilanciare l’Italia ridando lavoro e dignità sociale a chi il lavoro lo avrà perduto o non lo ha mai avuto. “Ce la faremo” non è solo uno slogan autoconsolatorio, ma è una affermazione di buon senso perché sa di poter contare sugli italiani e la loro storica capacità di resilienza.

Novartis, Sanofi, Pfizer, Versalis e tante altre. Ecco il sud che non si ferma

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