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Tra i grandi protagonisti della guerra del Terzo millennio, quella che si combatte in punta di sharp power, ci sono i social network, potenti aggregatori di masse ma anche strumenti facili da sfruttare da parte di chi tenta di influenzare le decisioni politiche.

Così i social network sono finiti al centro dell’attenzione anche in questa fase di tensioni tra Stati Uniti e Iran dopo l’uccisione del generale pasdaran Qassem Soleimani, la risposta iraniana sulle basi in Iraq e l’abbattimento del volo PS752 della Ukrainian Airlines con a bordo 176 persone. Il primo a muoversi è il gruppo di Mark Zuckerberg: Instagram e Facebook stanno rimuovendo i post a sostegno del “martire” Soleimani, in linea con le sanzioni imposte dagli Stati Uniti. L’ha dichiarato il portavoce di Facebook all’emittente statunitense CNN.

Tra i casi che hanno suscitato più scalpore c’è quello del calciatore iraniano Alireza Jahanbakhsh. Il numero 16 della squadra inglese del Brighton aveva postato sul suo account verificato Instagram una foto del generale dopo la sua uccisione: quel post è stato rimosso, assieme a diversi altri come raccontato da Coda Story.

Il governo di Teheran ha immediatamente reagito annunciando un’azione legale contro Instagram, uno dei pochi social network occidentali accessibili in Iran (a differenza di Facebook e Twitter che sono bloccati dal regime ma spesso aggirati dalla popolazione e dagli attivisti per la democrazia utilizzando i VPN). Su Twitter il portavoce dell’esecutivo, Ali Rabiei, ha definito le azioni di Instagram “antidemocratiche”. I media di Stato hanno inoltre annunciato la decisione del governo di creare un portale sul suo sito internet per permettere agli utenti dell’applicazione di segnalare i post rimossi dall’azienda statunitense.

La decisione di Instagram è figlia di sanzioni imposte dall’amministrazione statunitense su una lunga serie di personalità del regime iraniano. Basti pensare che ad aprile era stato chiuso l’account dello stesso generale Soleimani dopo che gli Stati Uniti aveva inserito i Guardiani della rivoluzione islamica nella lista delle organizzazioni terroristiche.

Il portavoce di Facebook ha spiegato che l’azienda ha deciso di rimuovere gli account gestiti direttamente da o anche per conto di persone o organizzazioni sotto sanzioni statunitensi. Inoltre, evidenziando che la piattaforma offre agli utenti la possibilità di far ricorso contro i ban, ha spiegato che vengono tolti anche i post che lodano le azioni compiute dalle parti – aziende o individui – sotto sanzioni.

Prima una considerazione: che Teheran, che alcuni giorni fa aveva scelto di chiudere internet per reprimere le contestazioni, ora si lamenti della censura delle aziende statunitensi fa quantomeno sorridere. Ora due livelli di analisi da considerare. Primo, e riguarda la politica statunitense: sul caso iraniano Zuckerberg ha scelto di schierarsi dalla parte di Trump e della sua amministrazione nell’anno delle elezioni presidenziali. Secondo, e riguarda i rapporti tra Washington e Teheran: con le azioni di Instagram gli Stati Uniti dimostrano all’Iran di essere in grado di colpire non soltanto chi ci fa propaganda pro regime ma anche la quotidianità di tutti i cittadini, di coloro che postano la loro vita sui social network. Una dimostrazione in linea con le sanzioni annunciate da Washington ieri: l’obiettivo è la “massima pressione” sull’Iran e in particolare sulla popolazione per fomentare le proteste e costringere Teheran a tornare ai tavoli negoziali sul nucleare.

Trump trova la sponda di Zuckerberg contro l’Iran

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