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Se serviva un commissario, magari super, serviva subito, mica adesso. Troppo tardi, talmente tardi che lo stesso premier Giuseppe Conte ha bocciato l’idea. L’Italia nella morsa del coronavirus vive forse i suoi giorni più bui da almeno un quarantennio. L’economista e storico Giulio Sapelli, dà la sua lettura della situazione.

QUANDO SERVIVA IL SUPERCOMMISSARIO

“Inevitabilmente viviamo un momento duro, forse non previsto. Un momento in cui si scontrano le esigenze dell’economia con quelle della salute”, premette Sapelli. “Io credo che in certi momenti, come questi, occorre fare scelte precise. Scelte che forse andavano fatte prima. Ma perché non abbiamo subito ripristinato la Protezione Civile con pieni poteri, invece di smantellarla? Poteri assoluti intendo. Questo ci avrebbe aiutato, è stato fatto così anche a Taiwan. Ora mi pare tardi, anche se meglio tardi che mai. E non c’è solo Bertolaso (Guido, ex capo della Protezione Civile, ndr) che può andare bene per il ruolo di supercommissario. L’Italia è piena di brave e competenti persone, di Bertolaso ce ne sono tanti”. Sapelli lancia la sua proposta. “Qui non serve un commissario per la ricostruzione, serve un commissario alla salute, parte tutto da lì. Ma come ho detto, è tardi. Io personalmente avrei subito dato pieni poteri a un commissario e poi convocato d’urgenza tutte le associazioni delle categorie produttive per redigere una strategia comune. Ma invece mi pare siano state fatte scelte diverse”.

L’ITALIA NEGATIVA (E POCO FIDUCIOSA)

L’economista va però oltre la politica. “Sa cosa noto in questi giorni? Poca fiducia e tanta negatività. Questo è un Paese affetto da negatività antropologica, verso le persone e forse verso la politica stessa. Pensiamo subito alle caste e invece dovremmo avere fiducia, come in guerra. Le guerra sono state vinte così, con la fiducia. Io amo gli italiani, amo il Paese e penso che alla fine ce la faremo. A patto di rispettare le regole. Vede, si dice che dobbiamo stare a casa. Giusto, il problema è che molta gente scambia lo stare a casa con l’andare in giro, non lavorare insomma. E invece no, si può stare a casa facendo lo stesso del Pil, insomma lavorando. Stare a casa non è non lavorare e fare movida è stare a casa e produrre. Oggi la tecnologia lo consente”.

40 MILIARDI CONTRO IL VIRUS

L’economista torinese affronta poi un altro tema, proprio di queste ore: le risorse da mettere in campo contro il virus da ottenere mediante sforamento del disavanzo pubblico. Questa mattina il premier Conte ha annunciato lo stanziamento di 25 miliardi di euro, grazie alla flessibilità concessa dall’Ue: 12 subito, con un decreto il prossimo venerdì, gli altri nelle prossime settimane. “Mi sembrano pochini, diciamo che ce ne vorrebbero 30-40, perché più soldi abbiamo meglio è”.

VADE RETRO MES

Attenzione però alla trappola del deficit. La flessibilità ci spetta e i presupposti affinché venga concessa ci sono. Ma senza contropartite: in altre parole, nessuna tagliola del Mes, il meccanismo di aiuto comunitario. Soldi, in cambio della ristrutturazione del debito. “Per l’Italia sarebbe la fine, la distruzione economica. Dobbiamo comportarci come i tedeschi, che fanno passare ogni decisione di questo tipo per il Bundestag. E noi dobbiamo fare uguale. Per fortuna gli economisti tedeschi se ne stanno accorgendo, il Mes è uno strumento di guerra economica e in Germania se ne sono accorti. Buon segno”.

 

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