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La crisi libica è anche una questione di propaganda, o forse meglio dire: è molto una questione di propaganda, da quella sfrontata dal campo a quella più sofisticata attraverso canali informativi ufficiali. Ieri per esempio al Arabiya è stata la prima a dare informazioni su una telefonata tra il presidente francese Emannuel Macron e il capo di stato egiziano, il presidente/generale Abdel Fattah al Sisi. L’emittente ha sottolineato come il francese abbia ringraziato l’egiziano per gli sforzi compiuti per la stabilizzazione della Libia e garantito che Parigi continuerà su quel solco assieme ai suoi “partner internazionali”.

Val la pena dunque di ricordare che al Arabiya è una rete emiratina, e che Abu Dhabi è insieme al Cairo il nucleo del sostegno politico, economico e militare del signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar. Ossia del capo miliziano dell’Est che ad aprile 2018 ha mosso le sue truppe – molte delle quali sono mercenari sud-sahariani pagati dagli sponsor esterni – per rovesciare il governo internazionalmente riconosciuto che tre anni fa l’Onu ha insediato a Tripoli.

Il ruolo dell’Egitto nella realtà dei fatti è tutt’altro che stabilizzatore: gli egiziani hanno interessi geopolitici reconditi sulla Cirenaica, e da sempre intendono muoverli tra gli affari interni della Libia. Recentemente, hanno contrastato il Governo di accordo nazionale onusiano, sostenendo Haftar e facendo pressioni sui politici della Camera dei Rappresentanti auto-esiliata a Tobruk affinché non votassero la fiducia al Consiglio presidenziale di Tripoli.

La partnership con gli emiratini è argomento di confronto tra potenze sunnite. Se Egitto ed Emirati sono su un lato, sull’altro – quello della Tripolitania, con forti agganci nella città-stato di Misurata – ci sono Turchia e Qatar. I qatarini vivono con i regni del Golfo una crisi di relazioni che dura da tre anni per via dei rapporti che Doha intrattiene con l’Iran (nota: la crisi forse sta vedendo una sorta di luce in fondo al tunnel, ma niente di ufficiale). E il Cairo è schierato per interessi nella catena di potere che da Abu Dhabi va dritta fino a Riad. La Turchia invece cerca da sempre di scavalcare il ruolo saudita sul controllo politico dell’Islam, è connessa a gruppi islamisti come la Fratellanza (amici anche del Qatar) che hanno un’interpretazione del mixage religione/politica del tutto diversa da quella dell’Arabia Saudita – tanto che la Fratellanza è considerata un’organizzazione terroristica in Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Non è un caso quindi se dalla stampa di quella parte vengano ripresi i dialoghi con Macron, considerato da quella parte dello schieramento l’interlocutore occidentale principale. Anche perché la Francia, proprio per via delle relazioni di interesse che ha con Egitto ed Emirati, sulla Libia ha tenuto un doppio canale. Con uno appoggiava l’esecutivo onusiano, e diversamente non avrebbe potuto fare essendo membro permanente del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite; ma con un altro, ben più attivo, mandava militari d’élite, unità operative dei servizi esteri (Dgsi), a combattere in Cirenaica contro forze islamiste nemiche di Haftar – alcune delle quali erano gruppi terroristici affiliati ad al Qaeda o all’IS, altre milizie collegate più alla Fratellanza e alle realtà politiche della Tripolitania.

La notizia di al Arabiya ha dunque, più che un valore di cronaca, un significato politico. Nel momento in cui l’Europa pensa a una missione organica e compatta (come non mai) per intervenire in Libia e avviare un processo unitario verso una conferenza di pace che si dovrebbe tenere a Berlino, l’emittente emiratina amica di Haftar fa sapere che il presidente francese ha avuto un colloquio telefonico tecnico con Sisi, sostenitore politico e militare del capo-miliziano che dalla Cirenaica ha fatto ripiombare il paese nella terza guerra civile in meno di dieci anni. È un messaggio, velenoso se vogliamo, quando si parla di cooperazione franco-egiziana sul dossier.

D’altronde in questa guerra informativa il ruolo opposto lo prende al Jazeera, canale televisivo satellitare di proprietà della famiglia regnante in Qatar, che è sempre prodigo di scoop col doppio-fondo politico riguardo al lato della Tripolitania. Per esempio, è stato da Doha che si è diffusa la notizia dell’accordo tra il capo del Consiglio presidenziale libico, Fayez Serraj, e il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, per costruire un programma sulla cooperazione militare che a breve potrebbe sfociare nel sostegno attivo di unità inviate in Libia da Ankara. Unità in più, diciamo, perché una parte c’è già da anni con un profilo nascosto, un’altra invece potrebbe essere già arrivata dalla Siria, dove la Turchia ha costruito gruppi di ex ribelli anti-Assad che sono diventati fedelissimi e vengono usati da Erdogan per il lavoro sporco che le forze regolari non possono fare. Sempre al Jazeera ha diffuso le informazioni in parte alterate sul viaggio non programmato di Erdogan a Tunisi, durante il quale fonti dell’emittente raccontavano che il turco aveva ricevuto appoggio incondizionato – ergo sul lato militare e logistico – da parte della Tunisia.

Macron e al-Sisi a colloquio. La guerra in Libia è anche mediatica

La crisi libica è anche una questione di propaganda, o forse meglio dire: è molto una questione di propaganda, da quella sfrontata dal campo a quella più sofisticata attraverso canali informativi ufficiali. Ieri per esempio al Arabiya è stata la prima a dare informazioni su una telefonata tra il presidente francese Emannuel Macron e il capo di stato egiziano, il presidente/generale…

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