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Diversi osservatori scrivono che l’Alleanza Atlantica è obsoleta, altri la dichiarano inutilizzabile, ogni vertice viene seguito mettendo in evidenza le gaffe dei capi di Stato, dove Donald Trump è il primo indiziato. Eppure, non vi è mai stata tanta attenzione verso la Nato, forse per la pochezza delle Nazioni Unite, la scarsa popolarità dell’Unione europea o la mancanza di autorevoli protagonisti nel campo della sicurezza. Sta di fatto che la curiosità non manca ed è forse una buona occasione per spiegare alcune cose di fondo poco conosciute perché, diciamo la verità, il grande pubblico ne ha sempre saputo poco.

IL CONSENSO POLITICO

Quando arrivai alla Nato come segretario generale delegato, la battuta che circolava era: “you don’t teach new tricks an old dog”, cioè “non puoi insegnare nuovi giochi a un vecchio cane”. Eppure, le domande di adesione continuano ad arrivare e si allunga la fila di Paesi che vogliono diventare partner. Ciò non richiama alla mente un ente in bancarotta. Il dato di fondo, nella sostanza, è proprio la capacità dell’Alleanza di reiventarsi tra la sorpresa generale. E allora dove si va a parare? Per essere più specifici cominciamo dal consenso politico fra i Paesi, la condizione più delicata per qualsiasi operazione. Inutile negare che esso si è allentato negli anni. Non siamo più sicuri di poter contare davvero sul rapporto transatlantico visto che in questo momento gli Stati Uniti sembrano andar da soli. Inoltre, l’allargamento dell’Alleanza dai dodici Paesi originari ai trenta di oggi (ultima arrivata la Macedonia del Nord) ha creato una serie di priorità nazionali da conciliare tra loro. Per lo più davanti a una pluralità di minacce. Nonostante ciò, la fibra connettiva di base, che si basa sulle capacità militari e l’interoperabilità tra le Forze armate non solo tiene il colpo ma si adatta progressivamente.

LE CAPACITÀ MILITARI

Negli ultimi anni si sono creati una Nato Response Force (operativa in pochi giorni), un quadro unico sul dominio, l’anti-terrorismo, la dimensione spaziale, la sicurezza energetica, l’adattamento dei comandi, e così via. La politica crea interrogativi, ma la coesione nel campo militare rimane forte. E non dimentichiamo che la Nato ha l’unanimità tra gli alti gradi americani e che l’approvazione verso l’Alleanza è largamente maggioritaria negli Stati Uniti. Bosnia, Kossovo, Macedonia, Afghanistan, solo per nominare le operazioni principali, sono tutte storie di successo dal punto di vista tecnico, e stanno a indicare una indiscussa capacità operativa. Volendo riassumere per immagini, potremmo dire che le democrazie euro-atlantiche hanno a disposizione una Ferrari in garage, che si mette in moto solo se i governi decidono di accendere il motore.

IL NODO DELLA SPESA

Come noto, il tema delle spese nel settore della difesa tiene banco negli ultimi anni. Tema che rimane di ovvia importanza. È utile tuttavia precisare che ciò non riguarda il bilancio vero e proprio della Nato. Esso rimane modesto e si riferisce solo ad alcune spese comuni obbligatorie. Si tratta di un’Alleanza fra Paesi sovrani, un’organizzazione internazionale sui generis, molto diversa dall’Unione europea sia nelle risorse che nel processo decisionale. Le sue competenze operative sono limitate a quelle decise per consenso fra i governi.

IL FRONTE SUD

L’Alleanza ha indubbiamente il suo focus ad est. Dopo l’occupazione della Crimea e la crisi del Dombass, le sollecitazioni polacche e dei Paesi baltici hanno dato priorità ai rapporti con la Russia. Verso il sud è un’altra storia. In realtà la Nato non ha deciso di dare attenzione permanente alla regione araba. Il segretario generale norvegese non sembra esplicito al riguardo. Il “Dialogo Mediterraneo” e la “Iniziativa di cooperazione di Istanbul” esistono rispettivamente da 15 e 25 anni e si rivolgono a tredici Paesi del Nord Africa e del Golfo. Per mantenersi vitali hanno bisogno di un investimento politico e di risorse. Questo investimento rimane intermittente. Nei confronti del sud le attività richieste sono diverse dall’est, con un focus sull’assistenza tecnica, la creazione di istituzioni viabili, la cooperazione pratica grazie all’expertise dell’Alleanza. Il caso libico va guardato a parte e qui la Nato viene criticata con qualche ragione. Essa è stata decisiva nella caduta di Gheddafi. Poi però non ha dato quell’assistenza alla ricostruzione che in fondo i libici potevano aspettarsi. Lo stesso presidente Serraj è stato più di una volta a a Bruxelles, ma è mancato il consenso interno della Nato per l’opposizione di alcuni Paesi, in primo luogo Francia e Regno Unito.

IL RUOLO ITALIANO…

Guardando il quadro generale l’Italia è sempre stata un alleato leale ed ha contribuito alle operazioni facendo fino in fondo la sua parte. Potrebbe avere un ruolo politico maggiore, tema che ha poco a che vedere con la diplomazia, ma piuttosto con la bassa priorità che la politica nazionale attribuisce alla politica estera. Un aspetto poco felice per cui il nostro Paese pesa sul mercato internazionale meno del suo peso reale. Vi è qualche difficoltà storica a trattare serenamente gli aspetti militari o il gioco dell’interesse nazionale. Pesa anche storicamente la difficoltà di scegliere fra Unione Europea e Alleanza Atlantica. Mentre bisognerebbe adottare esclusivamente criteri concreti e operativi.

…E IL FUTURO DELL’ALLEANZA

E cosa possiamo dire sull’assetto futuro? L’Europa non è più il centro dei problemi mondiali che si spostano verso l’Asia. Il ministro degli Esteri australiano Downer, al margine del vertice di Londra, ha auspicato un “quadro strategico di riferimento” dell’Occidente che comprenda il suo Paese, Nuova Zelanda, Giappone e Corea. Un processo interessante, su cui è prematuro pronunciarsi. Non credo che vi sarà una Nato globale, ma potrebbe svilupparsi una Nato con partner globali, vedremo con quali formule. Il futuro ci offre scenari strategici che si rinnovano continuamente e certo degli adattamenti saranno necessari, speriamo di essere tutti all’altezza delle sfide.

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