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Una strategia nazionale per un adeguato collocamento dell’Italia in ambito internazionale in un’era in cui la geopolitica è profondamente cambiata e l’escalation delle crisi e la vulnerabilità dei fenomeni economici possono creare crisi geopolitiche repentine. Il tutto mentre il terrorismo internazionale aumenta la sua minaccia e si presenta sotto varie forme. Molta carne al fuoco nel convegno sulla “Globalizzazione e le nuove frontiere della (in)sicurezza” organizzato dall’Eurispes presieduto da Gian Maria Fara, dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e dalla Scuola ufficiali dell’Arma dei Carabinieri.

SCENARI GEOPOLITICI

Il ruolo fondamentale delle Forze armate, la necessità di governare i flussi migratori e il crescente ruolo della Russia in un Paese come la Libia, fondamentale per l’Italia, sono temi interconnessi sui quali c’è confusione e scarsa lucidità politica. Il generale Enzo Vecciarelli, capo di Stato maggiore della Difesa, ha definito le “Forze armate un tesoro negletto che l’Italia non sa utilizzare”, nonostante la presenza in 38 missioni in 27 Paesi, un tesoretto sul quale si dovrebbe investire. In un mondo non più diviso in blocchi, con tensioni crescenti e nel quale gli Usa non sono più disponibili a intervenire dovunque, l’Italia ha intorno a sé “i Balcani fermi agli accordi di Dayton del 1995, la crisi siriana, il Medio Oriente ribollente, l’Africa che è una pentola a pressione” e nel mondo ci sono 800 milizie legate in vario modo al terrorismo. Nella speranza che la Commissione europea di Ursula von der Leyen dia davvero uno slancio diverso all’Europa, Vecciarelli auspica “una strategia nazionale” confermando che la Nato resta la pietra angolare.

NESSUNO AL COMANDO

La Libia fuori controllo, il ruolo della Russia e il multilateralismo in crisi hanno fuso gli interventi di Marco Minniti e di Giampiero Massolo che, tra emergenze attuali e prospettive, hanno descritto un quadro poco tranquillizzante. L’ex ministro dell’Interno ha aggiornato alcuni suoi cavalli di battaglia degli anni scorsi: al concetto di migrazioni da gestire perché impossibili da fermare e al messaggio a quella sinistra dall’approccio snob dei quartieri bene (“Chi ha paura ha diritto a essere ascoltato”), Minniti ha aggiunto pepe sottolineando il rilevantissimo ruolo della Russia in Africa e Medio Oriente attraverso i contractors dell’agenzia privata Wagner, legata a doppio filo al Cremlino. “In Libia si gioca un pezzo della sicurezza dell’Italia – ha detto – e se si ritiene possibile una pax russa in Libia com’è avvenuto in Siria non abbiamo capito che cosa sta avvenendo”. Per esempio, che “consiglieri militari” russi sono di nuovo in Egitto per la prima volta dal 1956. Quello che avviene intorno a noi è un pezzo di ciò che avviene nel mondo dove “nessuno è al comando” secondo Massolo, presidente di Fincantieri e dell’Ispi nonché ex segretario generale della Farnesina ed ex direttore del Dis. Siamo in una “recessione geopolitica, le crisi economiche possono generare improvvise crisi geopolitiche” e “il multilateralismo è in crisi, orfano dell’ordine mondiale di una volta” caratterizzato da libero mercato e trionfo dell’Occidente.

BUON USO DEL SOVRANISMO

Ecco dunque che Massolo declina il sovranismo in modo diverso, invitando a farne buon uso. Se per Minniti l’Unione europea deve collaborare di più su migrazioni, sfida al terrorismo e sicurezza energetica (tutti argomenti connessi all’Africa), per Massolo serve usare “un tono giusto per le cose che rivendichiamo. D’accordo nel criticare un’Europa attenta alla crescita e ai decimali, purché non lo si rivendichi abbaiando alla luna, ma in modo che ci ascoltino”. Sovranismo europeo significa anche più sovranità tecnologica e militare “per tornare credibili”. E visto che nessuno è al comando, “bisogna saltare sopra alle coalizioni di volenterosi per collaborare su temi trasversali”.

LA LOTTA AL TERRORISMO

Anche terrorismo e sicurezza nel Mediterraneo allargato sono legati. Il generale Giovanni Nistri, comandante dell’Arma, ha ricordato un paio di numeri sottovalutati: pur contenendo solo l’1 per cento dell’acqua mondiale, nel Mare Nostrum passa il 20 per cento del traffico marittimo mondiale e il 65 per cento dei flussi energetici verso l’Europa. A fronte di foreign fighter calcolati tra i 24mila e i 30mila da 100 Paesi, il centro di intelligence europeo ne calcola 5.472 partiti dall’Europa, ma “non abbiamo l’elenco preciso”, ha detto il procuratore nazionale Federico Cafiero de Raho. Su questo Claudio Galzerano, direttore del Servizio esterno della Polizia di prevenzione, ha spiegato le difficoltà fornendo l’ennesima prova dell’efficienza dei vertici della sicurezza e dell’intelligence. Poco prima dell’intervento militare turco nel Kurdistan iracheno, l’Fbi aveva inviato all’Europol un elenco di 2.700 jihadisti detenuti nelle carceri curde i cui nomi andrebbero inseriti nel database dello Schengen information center. I 200 europei compresi nell’elenco erano già inseriti, ma gli altri? È successo così che in una riunione presso l’Europol c’è stato imbarazzo perché nessuno Stato voleva sobbarcarsi l’onere, imbarazzo risolto almeno in parte dall’Italia: in una riunione del Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, si è deciso che l’Italia garantirà il fronte Sud inserendo i 500 nomi dei jihadisti di Marocco, Algeria, Tunisia e Libia. Un’esperienza straordinaria, quella del Casa, con una condivisione di informazioni (e di responsabilità) la cui esportazione in Europa però “è proibitiva” secondo Galzerano perché non si vuole “cedere sovranità condividendo le informazioni”.

DISAGIO SOCIALE E SICUREZZA NAZIONALE

Le minacce principali sono due: il rientro di foreign fighter e l’attore solitario. Il generale Pasquale Angelosanto, comandante del Ros dei Carabinieri, ha sintetizzato l’evoluzione della prevenzione dal luogo fisico delle moschee negli anni Novanta al luogo virtuale del web odierno con possibilità che vanno dal gruppo terroristico (Parigi, Bruxelles) alle persone con contatti indiretti (Nizza, Barcellona, London Bridge) all’individuo che si è radicalizzato da solo. Le prospettive, però, sono più generali e complesse: secondo Mario Caligiuri, direttore del master in intelligence dell’università della Calabria, “lo spettro che si aggira in Europa oggi è quello del disagio sociale” che può diventare “un problema di sicurezza nazionale più che di ordine pubblico”. Di questo deve occuparsi l’intelligence, apparsa improvvisamente come strumento a disposizione di tutti e come fattore di stabilizzazione dopo l’attacco a Charlie Hebdo nel gennaio 2015.

CYBER E (IN)SICUREZZA

Non solo terrorismo, naturalmente, di cui pure la Polizia postale si occupa tutti i giorni, perché il mondo virtuale è fonte di pericoli quotidiani a opera della criminalità organizzata. Nunzia Ciardi, direttore del Servizio Polizia postale e delle Comunicazioni, ha snocciolato consigli e numeri: visto che la nostra vita “è totalmente esposta in rete”, meglio non agganciarsi a reti wireless non conosciute perché c’è “un’epidemia criminale di sottrazione dati”. Tra il 2017 e il 2019 gli attacchi cyber gravi ad aziende sono decuplicati; tra il 2017 e il 2018 il furto di dati sanitari è cresciuto del 99 per cento; nello stesso periodo, solo in Italia, le denunce per sottrazione di denaro ad aziende con attacchi cyber sono cresciute del 320 per cento e gli importi sottratti del 170 per cento, con un picco singolo di 18 milioni di dollari. Bastano 300 dollari per comprare online un malware o un ramsonware per chiedere il riscatto dopo aver criptato i dati di un’azienda o di un’amministrazione comunale com’è avvenuto in Florida (il consiglio ha approvato il pagamento del riscatto). Perciò, secondo la Ciardi, è indispensabile “creare un ecosistema digitale sicuro” perché è impossibile investire il singolo cittadino di ogni responsabilità.

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