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“Siete il simbolo di una generazione abbandonata” disse Luigi Di Maio rivolto ai riders seduti al tavolo del Ministero del Lavoro. È trascorso poco più di un anno dal primo atto simbolico dei pentastellati al potere ma, guardando “l’orologio della politica”, sembrano passate ere geologiche. È cambiato il governo e anche “la poltrona” del giovane leader del M5S ma la questione dei fattorini della gig economy è ancora lì tra le grane del Conte bis.

Tra tante parole, un decreto contestato e un’infinità di appelli contrastanti, ci aiuta una ricerca di SWG a fare chiarezza, restituendoci una fotografia del settore delle consegne a domicilio lontana dai luoghi comuni.

Ma, prima di sfatare alcuni pregiudizi scolpiti nel dibattito pubblico, bisogna rispondere a una semplice domanda: chi sono i riders?

Studenti universitari per oltre un terzo (36%), addirittura un 14% degli intervistati dichiara di avere già un lavoro fisso e il 10% di svolgere altri lavori salutari. Mentre per il 29% è l’unica occupazione e un 11% la considera un’attività temporanea in attesa di trovare una “sistemazione migliore”. Un collage di storie ed esigenze disparate che spiega perché, già in partenza, è complicato trovare una soluzione in grado di accontentare tutti.

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È poi utile capire le motivazioni che li spingono a cimentarsi nelle consegne su due ruote.

Al primo posto, non troppo sorprendentemente, c’è il bisogno di far fronte alle spese abituali (48%). Poi però ci sono ragioni dal tenore ben diverso: coniugare lavoro e studio (37%), il piacere di muoversi in città (29%) e fare un lavoro non “totalizzante” (28%). Seguono una scelta obbligata (22%) e il desiderio di permettersi qualche acquisto fuori dall’ordinario (21%). Ancora una volta tante tessere eterogenee, complicate da incastrare in un unico mosaico.

Ma i riders sono così arrabbiati come spesso la politica li dipinge?

Arditti 2La risposta, in questo caso, è ben più inaspettata. Infatti, il 62% dei riders si dice soddisfatto del suo lavoro e soltanto l’11% è scontento dell’attività che svolge. Segno che spesso la politica, prigioniera della fotografia di un Paese infuriato (solo in parte veritiera), si innamora di convincimenti che non trovano un fondamento nella realtà.

arditti 3In cima alle fonti di appagamento dei riders c’è la possibilità di poter decidere quando (72%) e quanto (65%) lavorare. La maggioranza quindi considera la flessibilità un valore di cui non intende fare a meno.

arditti 4Invece, tra la minoranza degli insoddisfatti il 74% chiede uno stipendio più alto e il 64% vuole più tutele. Ma c’è anche chi è scontento perché vorrebbe lavorare di più (48%) o perché non ritiene la tecnologia impiegata all’altezza del servizio (40%).
È poi importante chiarire un aspetto: cosa pensano i riders delle piattaforme del “food delivery”?

Arditti 5Le condizioni economiche non sembrano impensierire eccessivamente i riders, la stragrande maggioranza considera le piattaforme per cui lavorano tendenzialmente corrette nei contratti e nei pagamenti (87%) e nella selezione del personale (82%).

È la sicurezza invece a destare più preoccupazioni con percentuali molto più basse dei lavoratori che dicono di avere un’assicurazione sugli infortuni (63%) o per danni verso terzi (48%). Benefit che le imprese dichiarano esistere ma che evidentemente non è ancora noto a sufficienza.

Arditti 6Infine, è interessante capire da chi i riders stessi si aspettano di essere tutelati. Niente associazioni auto- organizzate (6%) ma neppure sindacati (7%) o leggi dello stato (25%), la maggioranza dei ciclofattorini chiede protezione direttamente alle piattaforme con le loro politiche aziendali (51%).

Una prova evidente che, piaccia o meno, nell’epoca della disintermediazione le soluzioni novecentesche non sembrano fare più presa. La società sta cambiando sempre più velocemente e la politica ha il fiatone per rincorrerla.

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Parola ai rider. Chi sono e cosa pensano nell'analisi di Arditti (con i dati Swg)

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