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Il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, politologo la cui carriera si è svolta quasi interamente nella Repubblica di Sud Africa, ha proposto micro tasse di scopo per finanziare il comparto, essenzialmente la regolarizzazione dei precari, un aumento degli stipendi degli insegnanti, gratuità degli asili-nido, manutenzione straordinaria degli edifici scolastici. “Servono delle micro tasse di scopo: una tassa sulle merendine, una sulle bevande zuccherate, un’altra sui biglietti aerei”. Tutti obiettivi nobili, anche se mi sarei aspettato l’annuncio della preparazione di un programma di riforme di vasto respiro per modernizzare il nostro sistema di istruzione e renderlo competitivo con quelli dei maggiori e migliori Paesi Ocse piuttosto che micro tasse per finanziare spese di parte corrente. Tanto più che Fioramonti ha fatto parte sia del “governo del cambiamento” sia dell’attuale “governo della svolta”. Il presidente del Consiglio, Conte ha soggiunto che gli pare una buona idea.

Probabilmente Fioramonti non ha studiato i principi di base di scienza delle finanze e di diritto tributario. Ed il presidente Conte li ha studiati tanto tempo fa da averli dimenticati. In aggiunta, Fioramonti che vive da anni in Sud Africa ha forse fatto confusione perché in lingua inglese si utilizza la parola tax per indicare sia tasse sia imposte.

I termini tasse ed imposte spesso vengono usati in modo improprio nel linguaggio quotidiano, parlando in maniera errata di due diversi tributi che versiamo all’erario, quindi allo Stato. Per “tassa” intendiamo un tributo o una somma di denaro dovuta dai cittadini allo Stato in cambio di una prestazione. Tra le tasse più frequenti, troviamo quelle scolastiche, la tassa di concessione governativa, la tassa per l’occupazione di suolo pubblico. In questi casi, per ottenere un determinato servizio, si è obbligati a versare una certa somma in denaro.

Con il termine “imposta” si indica, invece, un tipo di tributo, ovvero una delle voci di entrata del bilancio di Stato, caratterizzato da un prelievo coattivo di reddito o di ricchezza dal cittadino contribuente. Tale tributo non risulta connesso ad una specifica prestazione da parte dello Stato o degli enti pubblici, per servizi resi al cittadino. Il soggetto subisce i tributi passivamente in virtù non di un servizio pubblico, ma di una situazione reddituale e patrimoniale personale. Sono importi che il contribuente corrisponde secondo la sua capacità contributiva e che servono per la collettività. Tra le imposte a carico del cittadino, per esempio, annoveriamo l’Irpef che è un’imposta che il cittadino è obbligato a pagare solo perché e nella misura in cui percepisce un reddito e l’Iuc (imposta unica comunale), che si deve pagare in quanto titolari di un diritto reale su un immobile. Le imposte vengono inoltre classificate in: dirette ed indirette, sul reddito, sul patrimonio, proporzionali, progressive, regressive, reali o personali.

Un’imposta di scopo è un tributo esplicitamente finalizzato e collegato al perseguimento di specifici obiettivi di volta in volta individuati dal soggetto che la istituisce, nell’ambito di alcune finalità esplicitate dal legislatore. Un tributo di scopo è quindi una prestazione patrimoniale (art. 53 Costituzione) richiesta al contribuente che si caratterizza per il peculiare rilievo che assume la destinazione dei proventi riscossi, in deroga al principio di unità del bilancio.

Il principio di unità del bilancio pubblico prevede che è il complesso unitario delle entrate che finanzia l’amministrazione pubblica e che quindi sostiene la totalità delle sue spese durante la gestione. In virtù di tale principio, c’è un generale divieto a creare dei collegamenti tra il gettito di un tributo specifico ed una specifica spesa. Questo principio generale, a volte disapplicato in Italia (come si vedrà), è molto saldo nel diritto tributario, e nella scienza delle finanze, anglosassoni che Fioramonti dovrebbe conoscere in quanto ha vissuto in Sud Africa per oltre tre lustri e vi ha fatto la propria carriera accademica.

Un tributo di scopo è un’eccezione a tale principio generale. Per tale motivo tale deroga deve essere precisamente prevista dal legislatore e non deve essere meramente desumibile dal contesto in cui sorge il nuovo tributo oppure un aumento del valore del tributo. Tra le principali imposte di scopo applicate in Italia si ricordano quella per la guerra di Abissinia del 1935, per la crisi di Suez del 1956, per il disastro del Vajont del 1963, per l’alluvione di Firenze del 1966, per il terremoto del Belice del 1968, per il terremoto del Friuli del 1976, per il terremoto dell’Irpinia del 1980, per la missione in Libano del 1983, per la missione in Bosnia del 1996, per il rinnovo del contratto degli autoferrotranviari del 2004, per il finanziamento alla cultura del 2011, per l’emergenza immigrazione conseguente alla crisi libica del 2011. Tutti eventi eccezionali e non prevedibili (tranne la guerra d’Abissinia del 1935 ed il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004). In occasione di tali eventi si sono registrate, in particolare, modifiche alle accise dei carburanti.

Esistono anche imposte di scopo comunali, un tributo comunale il cui gettito è destinato a finanziare opere pubbliche, eventi ad alto interesse turistico, mobilità urbana, asili, ecc. È stata introdotta dal governo Prodi nel 2006 per conferire ai comuni la possibilità di finanziare il 30% del costo per la realizzazione di opere pubbliche. La normativa prevede un rimborso ai cittadini del comune nel caso in cui i lavori per la realizzazione dell’opera non siano iniziati entro due anni dalla data prevista dal progetto esecutivo. Tra il 2007 ed i 2012 è stata applicata da 19 comuni. Nel 2011 sono state apportate alcune modifiche tecniche. Resta, comunque, l’assunto che può essere utilizzata per spese in conto capitale non di parte corrente.

In breve, le micro tasse di scopo sono una pessima idea che contrasta i principi di base della scienza delle finanze e del diritto tributario, specialmente se finalizzate al finanziamento di spese di parte corrente.

Tasse, perché Di Maio ha ragione (e il ministro M5S torto). Lezione di Pennisi

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