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L’incivile riforma della prescrizione, la condanna ad essere processati a vita, voluta dalla maggioranza composta da Movimento 5 Stelle e Lega e ora subita dal Pd, con nausea ma senza ribellione, innesca un problema politico che non va in prescrizione e mina il governo. Nella sua stabilità o nella sua credibilità.

L’inaugurazione dell’anno giudiziario, come ogni anno, si trasforma in un appuntamento con la geremiade della denegata giustizia. Anno dopo anno abbandonata al suo destino. Anno dopo anno accudita da politici e governanti che s’associano al cordoglio ma non hanno cuore di dedicarsi ai rimedi, che benché conosciuti e neanche difficili richiedono coraggio e determinazione che scarseggiano. La novità di quest’anno è che le toghe dei magistrati e quelle degli avvocati, assieme a chiunque non abbia smarrito una qualche idea del diritto, s’uniscono nell’enumerare gli effetti sbriciolanti, teorici e pratici, di quella incostituzionale trovata. Sul fronte opposto si ritrovano gli estremisti del pangiustizialismo manettaro, campioni nel teorizzare che l’innocenza è inesistente, che crederci è già un peccato e che il peccato è il seme dell’anima da cui germoglia il reato.

La partita sarebbe chiusa, con allontanamento dal campo dei secondi, se non fosse che il partito di maggioranza relativa, quello senza il quale non si sono fatti governi, in questa legislatura, incarna le truppe di cotale populismo giudiziario. Con il risultato che forze altrimenti avverse, come la Lega prima e il Pd poi, pur di tenere in piedi il governo che a turno compongono, s’arrabattano a trovarne versioni meno zotiche. La Lega finse di credere all’incredibile, affermando che votava a favore sol perché entro la fine dell’anno (scorso) sarebbe arrivata la riforma del processo penale e l’accorciamento dei suoi intollerabili tempi. Peccato che se questo fosse stato il punto di arrivo, ottenendo una giustizia celere, la cancellazione della prescrizione era solo un inutile offesa alla storia, al diritto e al buon senso. Il Pd finge ora di credere che si possa mettere una pezza tessuta con lo stesso filo che ha generato il buco, ovvero spostare la cancellazione a fasi successive, così confermando la collettiva incapacità di comprendere che la presunzione d’innocenza o c’è o non c’è. Se c’è vale fino a quando non è dimostrata la colpevolezza. E se non c’è inutile parlare di civiltà con chi è a quella estraneo.

Il coronavirus ha consentito di mettere la mascherina alla verifica, che sarebbe il risorgere di vocabolo e prativa del passato, ma senza profilassi igienica. Peccato che la giustizia ha superato lo stato d’emergenza e s’avvia verso il coma. Sicché da verificare c’è una sola cosa: governare con i pentastellati, nel mentre quelli si dilaniano e consumano, vuol dire accettarne le premesse teoriche e la trasformazione della politica nell’annunciazione del nulla e nella pratica del peggio o può consentire d’abbozzare su quel che si rimangiano e praticare una qualche ragionevolezza? Lega e Pd, fin qui, ci dicono che prevale la prima ipotesi. Confermando che l’Italia corre i pericoli più gravi non per quel che li divide, ma per quel che li accomuna.

Nel frattempo ci sarebbe il trastullo delle concessioni autostradali, a loro volta dettaglio rispetto al debito che galleggia indisturbato sulle nostre vite, soffocando la crescita ed estinguendo le politiche di bilancio, nel mentre prima gli occupati crescono al diminuire delle ore lavorate e poi decrescono entrambe, con o senza balconate deliranti. Né c’è da stupirsi se l’altro tema di convergenza, oltre all’inciviltà giuridica, è la pervicace follia di spostare soldi di chi lavora verso il non lavoro, supponendo che i consumi così favoriti a buffo rendano più forte la crescita. Tutto sta a capire di cosa.

Prescrizione, Autostrade e coronavirus. Le sfide del governo secondo Giacalone

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