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Dai tweet di follow up del segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, si ricostruisce il pattern diplomatico dietro all’eliminazione del generale iraniano Qassem Soleimani – ucciso nella notte da un raid aereo condotto da un drone statunitense mentre era in auto nei pressi dell’aeroporto di Baghdad. La tela delle relazioni che hanno portato all’uccisione del capo della Quds Force – l’unità dei Pasdaran che gestisce il piano di influenze estere con cui l’Iran si è diffuso in altri Paesi del Medio Oriente – passa innanzitutto da tre alleati europei.

Il Regno Unito, la Germania e la Francia: Pompeo twitta di aver avuto un colloquio telefonico con Dominic RaabHeiko Mass e Jean-Yves Le Drian, omologhi di Londra, Berlino e Parigi. Il segretario dice che hanno condiviso la decisione del presidente Donald Trump sull’azione.

“La Germania è preoccupata per le continue provocazioni militari dell’Iran”, scrive Pompeo, siamo “grati che i nostri alleati riconoscano le continue minacce aggressive poste dalla Forza iraniana dei Quds”. “Contrastare l’attività maligna del regime iraniano è una priorità condivisa con i nostri alleati europei. La nostra determinazione a proteggere le nostre persone e i nostri interessi è costante”, è la sintesi estrema del colloqui con il francese. E aggiunge che comunque gli Stati Uniti sono indirizzati verso la “de-escalation“.

Le prossime mosse saranno cruciali, il rischio di uno scontro aperto è possibile perché l’Iran si trova costretto a reagire all’uccisione di una figura che all’interno del regime ricopre un ruolo apicale. Anche per questo i contatti continui tra feluche in questo momento diventano la dimensione da leggere per seguire quello che succede, e soprattuto la magnitudo del contraccolpo e la mappatura dei potenziali luoghi di interesse.

La diplomazia dietro l’attacco passa anche da Qatar e Iraq, due Paesi alleati americani, postazioni strategiche rispettivamente del Pentagono e della diplomazia americana in Medio Oriente. Il Qatar è un paese che dal 2017 è isolato politicamente dalle altre nazioni del Golfo per via proprio delle relazioni tenute con l’Iran, ma strettamente legati a Washington – tanto che il CentCom, il comando del Pentagono che copre l’area geografica che va dall’Egitto all’Afghanistan, ha il suo hub in una base appena a sud di Doha. L’Iraq è una polveriera delicatissima: gli Stati Uniti hanno nel Paese un’ambasciata unica per dimensioni, un fortino con un fossato sul Tigri all’interno della Green Zone che recentemente si è trasformato ne di una manifestazione organizzata dalle milizie locali comandate dall’Iran.

Ci sono poi altri due gli alleati regionali con cui Pompeo ha condiviso l’azione. Il Pakistan e l’Afghanistan. Quest’ultimo è una nazione in cui i Pasdaran hanno spinto la propria penetrazione e creato una milizia, la Liwa Fatemiyoun, creata nel 2014 per combattere in Siria sull’impronta di quelle distribuite tra Libano, Iraq e Siria. Il Pakistan è un Paese dove la componente sciita è stata accarezzata dall’Iran anche per compensare l’influenza saudita; Teheran inoltre ha mostrato interesse per sposare il progetto cinese sul Corridoio economico comune.

Infine la Cina. Pompeo ha avuto uno scambio anche con Yang Jiechi, ex ambasciatore a Washington, ora membro del Politburo del Partito comunista cinese per cui dirige la Commissione centrale degli Affari Esteri. Il capo della diplomazia americana dice di “aver ribadito” a Pechino la volontà americana di de-escalation, ma ha comunicato che la decisione di eliminare Soleimani era una necessità “in risposta alle minacce imminenti per la vita americana”.

È un passaggio diplomatico importante, perché la Cina ha usato l’Iran come vettore nel quadro del confronto globale con gli Usa, ma al contempo l’Iran è un alleato poco apprezzato dai cinesi – e in effetti si è visto anche un certo nervosismo nell’ambito della ricostruzione siriana, dove Pechino non apprezza le trame iraniane per estendere l’influenza nella regione. Tuttavia il ministero degli Esteri cinese ha dichiarato di voler esortare “le parti interessate, in particolare gli Stati Uniti, a mantenere la calma e a esercitare moderazione per evitare ulteriori tensioni crescenti”.

Da Pechino a Parigi, ma anche Berlino. La tela diplomatica Usa (e l'Italia?)

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