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“Non saremmo qui oggi se non avessimo la ragionevole convinzione che questa iniziativa costituisce uno dei pilastri della sicurezza mediterranea su cui l’Italia, in armonia con altre iniziative in atto, intende concretamente continuare a investire risorse”. Il virgolettato è ripreso dalle dichiarazioni con cui il ministro della Difesa italiana, Lorenzo Guerini, ha commentato la ministeriale “5+5” che si è svolta ieri a Roma, ed il senso è tutto geopolitico. E d’altronde la riunione è una forma di contatto tra realtà politiche che condividono una stessa regione geografica, che dopo essere stato il fulcro dello sviluppo della civiltà, attualmente sta tornando a essere snodo di dinamiche che rappresentano al contempo opportunità e rischi.

Il Mediterraneo, per esempio, è da qualche anno tornato cruciale per gli sviluppi collegati alle scoperte di enormi reservoir energetici nel quadrante orientale (noto come EastMed); oppure per le crisi sul fronte nordafricano, su tutte quella libica. Non è altresì da sottovalutare la situazione di sicurezza nel Sinai (particolarmente critica per il terrorismo baghadista), e ancora l’Algeria e la Tunisia, paesi stabilizzati ma sempre sull’orlo di un equilibrio precario,  o ancora il contesto balcanico.

A tal proposito, in Montenegro c’è stato anni fa un chiaro esempio di come la penetrazione di attori esterni al bacino possa diventare destabilizzante. La Russia è stata accusata di aver progettato un colpo di Stato. Mosca – anche attraverso operazioni di guerra ibrida – gioca la sua sfera di influenza sul fianco orientale del Mediterraneo, lungo i Balcani, ma cerca anche una sponda verso sud e sul lato orientale del Nordafrica (Egitto e Libia).

C’è poi un altro attore che da anni sta penetrando la regione. Si tratta della Cina, che nel Mediterraneo trova uno sbocco grazie alla Nuova Via della Seta, il grande piano di influenza per l’Eurasia di Xi Jinping. I porti italiani ne costituiscono un punto nodale, così come lo è il porto greco del Pireo e gli scali sul fianco meridionale. Come non bastasse, dal lato orientale emerge la pressante presenza turca, attore sempre più assertivo che nutre interessi territoriali nell’area.

In questo quadro complesso l’Italia, che ha ospitato il 5+5, trova tra i suoi componenti anche alleati competitivi. Il sistema composto da Algeria, Libia, Mauritania, Marocco, Tunisia, e Francia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna è un foro informale di cooperazione, che però non ha sempre avuto continuità sostanziale. Sul lato occidentale del Mediterraneo c’è la Francia, che ha ambizioni forti e gioca le proprie carte geopolitiche attraverso i contatti nordafricani. Anche per questo da sempre cerca di recuperare terreno in Libia nei confronti dell’Italia, che invece ha un rapporto più strutturato con Tripoli. Non a caso il vertice di questo giovedì è stato organizzato dai libici, che presiedono di turno il sistema multilaterale, ma si è svolto al “Parco dei Principi”, hotel a Villa Borghese che spesso presta le proprie stanze a riunioni diplomatiche.

Il dossier libico è un esempio di come la cooperazione sul Mediterraneo, nei fatti, si sia spesso dissociata dalle dichiarazioni. I francesi, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, hanno sempre formalmente sostenuto il piano di pace e riunificazione del paese progettato dall’Onu, sfociato nel governo insediato a Tripoli (noto con la sigla Gna). È l’esecutivo internazionalmente riconosciuto, dietro al quale si muove l’Unione europea e che ha stretti rapporti con l’Italia. Ma Parigi ha anche dato sostegno informale – e sostanziale, tramite forze speciali schierate sul campo – al signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, che attualmente sta cercando di rovesciare il governo onusiano.

L’ambiguità francese è legata alla coalizione informale di Stati che sostiene Haftar, composta da Egitto, Emirati Arabi e in parte Arabia Saudita e Russia: tutti Paesi con cui i francesi hanno relazioni strette, o come i russi, in una fase di progressivo sviluppo. Un problema in più, dal punto di vista geopolitico, anche per le dinamiche del Mediterraneo.

Parigi aveva intavolato un dialogo con il governo Gentiloni, salvo poi rapidamente spostarsi sulla Spagna quando a Roma si è insediato l’esecutivo gialloverde – che vedeva nei francesi rivali più che partner. Ora a Roma la componente grillina movimentista, che aveva avuto contatti con i Gilet Jaunes innescando una crisi diplomatica con la diplomazia d’Oltralpe, è parzialmente bilanciata dalla presenza al governo del Pd, ma il problema nelle relazioni permane. Inoltre la guida spagnola del ministero europeo per gli Esteri, affidata con la nuova Commissione a Josep Borrel, porta Madrid un passo più avanti nel contesto Ue, e di conseguenza lo favorisce negli affari regionali. La Francia si è fatta sponda degli iberici – che trainano anche il Portogallo.

L’Italia ha dunque anche e soprattutto da gestire una sfida interna all’Ue, e se la sicurezza attorno a cui è ruotata la recente ministeriale di Roma è un affare cooperativo, ci sono molti dossier e temi aperti di carattere competitivo.

Risiko Mediterraneo. La via stretta dell'Italia fra Russia, Cina e Francia

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