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Non c’è solo il 5G: la Cina è una sfida alla sicurezza transatlantica per i suoi missili ipersonici e per l’accresciuta presenza in aree strategiche come l’Artico e il cyber-spazio. Parola di Jens Stoltenberg, il segretario generale dell’Alleanza che ha partecipato questa mattina alla “Nato engages: innovating the Alliance”, la conferenza parallela al vertice tra i capi di Stato e di governo che oggi riunisce a Londra rappresentanti dei Paesi membri ed esperti. Ancora prima, Stoltenberg aveva dato il via alla due-giorni incontrando il presidente Donald Trump, il quale non si era risparmiato tra le critiche a Emmanuel Macron e i messaggi di distensione a Recep Erdogan. I temi in agenda sono difatti molteplici e intrecciano sfide esterne a questioni di solidità interna, con l’intemperanza turca e le divergenze tra Parigi e Washington. Cercando di smarcare l’Alleanza dai nodi più intricati, Stoltenberg ha offerto un quadro più ampio.

IL “DEBUTTO CINESE”

La parola d’ordine è “adattamento”, e serve per rispondere alle critiche di Macron sulla “morte cerebrale” e per rilanciare una visione comune tra gli alleati. Si tratta di adattare la Nato a un contesto internazionale profondamente differente da quello di settant’anni fa. L’elemento più evidente è l’inserimento in agenda della “crescita della Cina”, una prima assoluta nell’alleanza che risponde alle pressioni americane e all’esigenza di comprendere le sfide poste dal Dragone. “È una cosa importate che gli alleati siano d’accordo ad affrontare insieme la questione”, ha detto Stoltenebrg. Per ora il segretario è piuttosto cauto rispetto alle preoccupazioni Usa: “la crescita della Cina produce implicazioni sugli alleati in termini di sicurezza”, poiché “ci sono opportunità, ma anche sfide”. Per questo, “per la prima volta abbiamo deciso di sviluppare un approccio comune, per analizzare e rispondere alle sfide che la Cina ci pone”.

TRA 5G E MISSILI IPERSONICI

La prima riguarda l’attivismo cinese sul fronte delle telecomunicazioni, che per la Nato rappresentano un importante infrastruttura per l’operatività degli strumenti militari alleati. È per questo che già ad ottobre i ministri della Difesa dell’Alleanza avevano annunciato “nuovi requisiti comuni per la resilienza delle telecomunicazioni, comprese le reti 5G”, evidenziando la necessità di “garantire la sicurezza delle infrastrutture di quinta generazione”. I timori sono tuttavia ben più estesi. “Ad oggi, la Cina è il secondo Paese al mondo in termini di spesa per gli armamenti e credo sia giusto discuterne alla luce della necessità di garantire la sicurezza internazionale”, ha detto Stoltenberg affianco a Donald Trump. Poi due esempi su tutti: l’assertività nel Mar cinese meridionale e gli avanzamenti nel campo delle tecnologie missilistiche, ipersonica compresa, con armi “in grado di raggiungere tutta Europa e gli Stati Uniti”.

LA PROIEZIONE GLOBALE

È questo uno dei temi più sensibili per gli Washington, il cui interesse (alla base anche dell’uscita dal Trattato Inf oltre le violazioni russe) è giungere a nuovi trattati per il controllo degli armamenti che riescano a vincolare anche Pechino. Eppure Stoltenberg ha offerto alla conferenza di Londra una visione più ampia. La Cina è già una potenza globale che punta ad accrescere la propria influenza. “Non si tratta di portare la Nato nel Mar cinese meridionale – ha rassicurato – ma di tenere conto che Pechino si sta avvicinando a noi, nell’Artico, in Africa, investendo pesantemente nelle nostre infrastrutture in Europea, nel cyber-spazio”.

L’ARTICO COME NUOVA FRONTIERA

Il riferimento all’Artico non è casuale. Il riscaldamento delle acque del nord apre prospettive securitarie che l’Alleanza vuole inglobare nella propria visione. “L’importanza dell’Artico sta aumentando per varie ragioni e per la Nato è fondamentale essere presente, bilanciando l’aspetto militare e quello politico”, ha spiegato Stoltenberg. Lo scioglimento dei ghiacci “porterà a un mutamento della geografia e anche dell’economia dell’area”, già evidente secondo il segretario generale nelle manovre di Mosca e Pechino. La strategia anche in questo caso è cauta: “Dobbiamo mantenere la cooperazione con i Paesi della regione, compresa la Russia; quindi ci muoveremo in questo bilanciamento tra la presenza militare e la sfera politica di cooperazione”.

L’APPROCCIO ALLA RUSSIA

È il cosiddetto doppio binario tra deterrenza e dialogo già utilizzato dalla Nato con la Russia, frutto di un bilanciamento tra gli interessi dei Paesi più preoccupati da Mosca e quelli fautori del confronto positivo. La linea dovrebbe essere confermata anche a Londra, a patto che si sventino le minacce della Turchia sul veto alle iniziative in Europa orientale nel caso l’Alleanza non riconosca le forze curde come una sfida alla sicurezza. Stoltenberg si è mostrato tranquillo, spiegando in un’intervista al quotidiano polacco Rzeczpospolita (Varsavia è a favore della linea dura con Mosca) che “attraverso la presenza della Nato in Polonia e nei Paesi baltici viene mandato a Mosca un segnale molto forte: in caso di attacco, risponderà l’intera Alleanza”. La Russia “non è un nemico”, ha aggiunto, ma “rispondiamo quando servo”. In particolare, “quello che abbiamo visto in Ucraina, ovvero un’invasione armata della Russia contro un vicino, non può ripetersi contro un membro della Nato”.

Perché Pechino è una sfida per la Nato. Il punto di Stoltenberg

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