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Rieccolo. Giancarlo Giorgetti da giorni si teneva in disparte. Mentre il vicepremier Matteo Salvini staccava la spina al governo Conte, inondava i social con tweet e dirette Facebook dalle spiagge, il più noto ed apprezzato “colonnello” della Lega si trovava in Valchiavenna, a 1450 metri di altitudine dal suo ufficio a palazzo Chigi. Intercettato dai cronisti, non ha potuto non dire la sua sulla crisi e sull’ultima mossa di Salvini, che ieri con una boutade al Senato ha chiesto di votare subito il ddl Taglia poltrone per poi tornare alle urne. “Sono le decisioni di un capo, e un capo sempre decide lui da solo e alla fine sono responsabilità personali” spiega il numero due della Lega. Come a dire: il Capitano ascolta tutti ma poi fa per conto suo. E i suggerimenti di Giorgetti si presume non siano stati tenuti in grandissima considerazione se poi ammette: “Sarebbe stato più facile andare a votare se la crisi di governo si fosse fatta prima? Sì, secondo me sì”.

Il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio non ama parlare con i giornalisti. Il suo è un profilo riservato, di quelli che rifugge i riflettori e preferisce dire la sua nelle sedi più corrette. Non è un mistero che, nei piani di Giorgetti, il Carroccio avrebbe dovuto calare il sipario molto prima. All’indomani del voto europeo del 26 maggio, quando un divorzio anticipato non avrebbe dato scampo agli alleati pentastellati, rintontiti dalla batosta alle urne e colpevoli di una feroce campagna elettorale contro Salvini. Per non citare la riottosità degli (ex?) alleati sul progetto dell’Autonomia nordista.

Giorgetti non l’aveva mandata a dire. E il pressing del sottosegretario, che da sempre è voce di un’intera ala del partito, quella della vecchia guardia e dei governatori del Nord, era finito con un nulla di fatto. Ora è forse troppo tardi, è il messaggio che filtra dalle scarne battute concesse alla stampa in queste ore decisive. Salvini ha fatto un tentativo in extremis per mettere alle corde i Cinque Stelle e smontare prima che inizi la loro campagna elettorale anti-casta. Ma chi conosce le regole sa anche che votare il ddl subito, prima della mozione di sfiducia a Conte, è un miraggio. Farlo dopo, semplicemente impossibile. “Non sono un costituzionalista, questo bisognerebbe chiederlo al presidente della Camera dei Deputati” è la secca risposta di Giorgetti a chi gli chiede quante chances abbia il piano di Salvini.

I retroscenisti parlerebbero di “gelo”, con una evidente forzatura però. Nelle riunioni del Carroccio il sottosegretario è sempre una presenza discreta. Chi ha partecipato lunedì alla riunione dei gruppi parlamentari con Salvini nella sala congressi dell’Grand Hotel Palatino di Roma racconta un sottosegretario silenzioso, sfuggente. Chi scommettesse sul fatto che queste distanze, se effettivamente ci sono, possano sfociare in una divaricazione rischia di prendere una cantonata. Giorgetti infatti gode di un apprezzamento bipartisan proprio per la sua lealtà e la sua onestà intellettuale, che lo porta a dire quello che pensa senza mai lavare i panni fuori casa. La Lega è un partito disciplinato e il Capo non si discute, figuriamoci il Capitano che ha superato la soglia del 30%. Discutere è un conto, contestare un altro.

Certo, se poi si legge l’intervista che Salvini ha concesso oggi al Corriere della Sera, all’indomani della battaglia al Senato, si può trovare la conferma di un rapporto “vivace”. Il leader leghista dice di aver pronta e confezionata una manovra audace scritta dal Carroccio. E tira in ballo Giorgetti, “una persona coraggiosa di cui si fida il mondo” che lui vorrebbe fare “ministro dell’Economia”. Una ipotesi, questa, citata a freddo. “Perchè tirarlo in ballo, così?”, si sono chiesti in molti degli osservatori della politica italiana stamattina. Voleva essere una lusinga oppure un segnale più elaborato? Non si puó fare il processo alle intenzioni ma non si può neppure non notare questo confronto a distanza.

Da tempo si parla di due anime nella Lega. Quella tradizionale, nordista, e quella “nuova” di matrice salviniana. L’impressione di queste settimane, messe da parte tutte le strumentalizzazioni degli avversari, è che il Capitano – rispetto ai consigli pacati di Giorgetti – abbia preferito le suggestioni di Mr. Papeete. Casanova infatti non è soltanto il titolare dell’ormai celebre lido di Milano Marittima ma un amico fidato del leader. E se è vero che nella storia del partito di via Bellerio la canottiera di Bossi è stata un must molto più degli abiti ministeriali dei suoi dirigenti, i balli, i cocktail ed i dj set, sono una forma di comunicazione che non deve aver convinto tutta tutta la vecchia guardia. A seguire Salvini in tutte le sue tappe, e soprattutto nel nuovo quartier generale del Papeete, c’erano davvero in tanti. Non Giorgetti. Per lui, per il suo carattere, meglio la montagna. Alla fine, come ricorda il sottosegretario, a decidere (e ad assurmene la responsabilità) è il Capo. Ma il dibattio interno – anche se resta, disciplinatamente, sotto traccia – c’è. Ed è un vantaggio per la Lega, vecchia e nuova.

Papeete o Valchiavenna? Tutte le sfumature leghiste, fra Giorgetti e Salvini

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