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L’aeroporto di Hong Kong ha riaperto i battenti questa mattina dopo 230 voli cancellati e il crollo in borsa di Cathay Pacific Airways. Una riapertura momentanea, visto che nel giro di poche ore il ritorno dei manifestanti ha portato di nuovo alla cancellazione di tutti i voli. Dettagli, rispetto allo scontro che sta andando in scena da dieci settimane nell’ex colonia britannica, “un conflitto tra democrazia e dittatura” per dirla con le parole utilizzate oggi su La Stampa da Clyde Prestowitz, fondatore del Economic Strategy Institute, e già consigliere del segretario al Commercio quando Ronald Reagan era presidente degli Stati Uniti.

DOPO IL GIORNO PIÙ LUNGO

Oggi, dopo il giorno più lungo con i 5mila manifestanti nello scalo aeroportuale, la situazione fatica a tornare alla normalità. Le dieci settimane di protesta hanno visto crescere la rabbia dei manifestanti, che anche oggi sono tornati all’aeroporto per bloccare i passeggeri all’ingresso dei gate. Parallelamente, la Cina persegue la linea dura e continua a elevare il livello di pressione. Nel frattempo però, l’attenzione della comunità internazionale ha raggiunto il suo apice. L’intervento della Nazioni Unite contro la forza usata sui manifestanti e la richiesta di “un’indagine imparziale” pone Pechino in una posizione complicata, tra un intervento che scatenerebbe la dura reazione globale, e un alleggerimento (con concessioni democratiche) che lascerebbe spazio a tante rivendicazioni in territori che, finora, i cinesi tengono con il pugno di ferro.

IL PUNTO DEI MANIFESTANTI

Le registrazioni dei passeggeri sono ricominciate questa mattina dall’alba mentre diverse centinaia di manifestanti tornava al terminal per una nuova mobilitazione, anche oggi al grido di “Rise Hong Kong, stand up for freedom”. I rischi di nuovi scontri sono alti. “La violenza genera violenza, e poiché la Polizia vi ha fatto ricorso per prima, i manifestanti non hanno altra scelta se non rispondere”, ha detto Jimmy Sham, del Fronte per i diritti umani e civili, il gruppo che ha contribuito a organizzare le recenti proteste e che ha trovato sponda in diversi deputati pro-democratici di Hong Kong, critici nei confronti della “condiscendenza” del governo cinese, definita uno “sviluppo preoccupante”.

LA LINEA DURA DI PECHINO

La risposta è arrivata dal capo esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, tornata a parlare in pubblico per contestare “le attività illegali in nome della libertà, le quali danneggiano lo Stato di diritto e la ripresa economica dell’hub finanziario asiatico”. La violenza, ha aggiunto in conferenza stampa, “spingerà Hong Kong lungo un percorso senza ritorno, immergerà la società in una situazione molto preoccupante e pericolosa”. Gli fanno eco le accuse di “terrorismo” che arrivano dalle autorità cinesi, anche oggi a ribadire che alle proteste si risponderà “senza alcuna indulgenza o pietà”. Un portavoce dell’ufficio politico del governo cinese a Hong Kong, Yang Guang, ha puntato l’indice contro singoli “attori criminali spregiudicati e violenti” che sarebbero gli animatori delle manifestazioni violente. “Chi gioca con il fuoco finisce per soccombervi”, ha avvertito Yang, che rivolto ai manifestanti ha aggiunto: “Non fraintendete il nostro autocontrollo come una forma di debolezza”.

LA NARRATIVA CINESE

Se le parole di minaccia non fossero sufficienti, ecco arrivare altre immagini del rafforzamento degli strumenti di controllo e repressione, puntualmente rilanciate a più riprese dai media di Stato cinesi. Circola da tempo il video del distaccamento dell’Esercito popolare di liberazione cinese ad Hong Kong impegnato in esercitazioni antisommossa, aperto da un militare che avverte: “tutte le conseguenze saranno a vostro rischio e pericolo”. I commenti dei media di Pechino sugli avvenimenti sono chiaramente orientati, e descrivono i manifestanti come pericolosi terroristi che “chiedono l’autodistruzione”. Il tutto è corredato da un altro video che ulteriori convogli dell’Esercito popolare di liberazione cinese ammassarsi vicino al perimetro dell’ex colonia britannica.

GLI EFFETTI DEGLI SCONTRI

Nel frattempo si temono ripercussioni pesanti sul fronte economico. Bank of America Merril Lynch ha drasticamente ridimensionato le previsioni di crescita del Pil di Hong Kong per il 2019, dal 2,2% allo 0,8%. “Otto settimane consecutive di proteste – spiega la banca – hanno già esercitato un impatto immediato sui flussi turistici in arrivo, sulle vendite al dettaglio e sul mercato immobiliare”. Il coinvolgimento dell’aeroporto ha spaventato numerosi operatori. La compagnia di bandiera egiziana Egyptair ha sospeso i voli verso Hong Kong fino a nuovo avviso. I timori maggiori sono però tutti per gli scontri. La Polizia è tornata a utilizzare gas lacrimogeni e cariche anche piuttosto violente, come quelle registrate in una stazione della metropolitana che hanno scatenato le critiche occidentali. L’attenzione della comunità internazionale è elevata, e tutto questo potrebbe esacerbare ancora di più le proteste, portando i manifestanti ad alzare il tiro. Il rischio è che Pechino mantenga la promessa di agire “senza pietà”.

Hong Kong dopo il giorno più lungo. Così la Cina alza la pressione

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