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Molto rumore per nulla. La visita lampo di Vladimir Putin a Roma non fa che confermare le premesse, spiega a Formiche.net Andrew Spannaus, giornalista e analista geopolitico americano, fondatore di Transatlantico.info. Giuseppe Conte a Palazzo Chigi ha ribadito la postura filorussa di chi lo ha preceduto. Anche se nei rapporti con Mosca i gialloverdi hanno aggiunto un tocco personale. Che presto o tardi può creare problemi a Washington DC.

Come esce il governo italiano dalla passerella romana di Putin? Più vicino o più distante da Washington?

Ci sono due letture possibili. Il governo italiano ha bisogno degli Stati Uniti, anche perché non ha alleati altrove. Questo spiega il recente avvicinamento di Matteo Salvini all’amministrazione Trump. Non mi sorprenderei invece del silenzio di Conte sui motivi dietro alle sanzioni Ue. L’Italia ha sempre voluto far da ponte con la Russia. Difficile che questo governo si aggiunga alle critiche sul rispetto dei diritti umani e dei valori liberali.

E in America come sono viste queste interlocuzioni con Mosca?

Nell’amministrazione Usa convivono posizioni diverse. C’è una fazione più antirussa e interventista guidata dai due falchi John Bolton e Mike Pompeo. Trump nell’ultimo anno ha riposto nelle mani di Bolton grandi responsabilità. Una scelta che ha destato un certo stupore a Washington, visto che gran parte della sua campagna elettorale si era fondata sulla critica alle guerre neocon. Ma il presidente dà priorità alla personalità rispetto alle singole posizioni ideologiche.

Insomma, a Washington guardano preoccupati al feeling dei gialloverdi con Putin?

Non c’è grande preoccupazione. L’Italia è già stata chiamata a chiarire la sua posizione dopo la vicenda del Memorandum of understanding firmato con la Cina a marzo. Sebbene i “falchi” dell’amministrazione Trump seguitino a concentrarsi su dossier classici come Russia e Medio Oriente, a Capitol Hill il dossier cinese oggi ha la priorità assoluta.

E la Lega? Il partito di Salvini ha un accordo di cooperazione con Russia Unita. Può convivere con il riposizionamento atlantista degli ultimi mesi?

Anche qui ci sono due aspetti da considerare. Dietro le quinte del partito il cambio di passo è già iniziato. È stato innescato dalla vicenda del Mou con la Cina, che ha costretto non solo Salvini ma anche Giancarlo Giorgetti a correre ai ripari dopo la reazione americana.

E fuori dalle quinte?

La maggioranza dell’opinione pubblica italiana guarda con favore a una maggiore apertura verso la Russia. La Lega ne terrà conto e pertanto non abbandonerà il dialogo con Putin.

Conte ha ribadito di puntare all’eliminazione delle sanzioni. È un obiettivo realistico con la nuova leadership europea e soprattutto con Ursula van der Leyen a capo della Commissione Ue?

Sul fronte delle sanzioni non prevedo grandi cambiamenti. La nuova presidente della Commissione adotterà una linea meno permissiva sul fronte russo. Anche Francia e Germania, che pure hanno a più riprese promesso di voler rivedere le sanzioni, nella sostanza non hanno mai cambiato linea. Difficile dunque che l’Italia possa farlo. A meno che…

A meno che non sia Trump a imporre il cambio di passo.

Esatto. Ma il presidente Usa deve fare i conti con un ampio fronte istituzionale antirusso a Washington che ha lavorato duramente per evitare una virata verso Mosca. Talvolta con mezzi legittimi, altre volte meno, come nel caso delle eterne accuse del Russiagate.

E sul fronte libico l’Italia deve aspettarsi qualcosa da Putin?

La Russia ha due interessi in quella regione. Garantire stabilità ed evitare cambi di regime che favoriscano gli interessi occidentali, e solidificare la propria presenza. Quanto al secondo obiettivo, va riconosciuto a Putin di aver giocato bene la sua partita in Medio Oriente e in Nord Africa. Molto di questo successo è dovuto agli errori commessi dall’Occidente.

Ad esempio?

È indubbio che sia l’amministrazione Obama che il governo francese nel 2011 non abbiano ponderato le conseguenze devastanti di un intervento armato in Libia. Il risultato è che la Russia oggi ricopre un ruolo di primo piano in Nord Africa. Lo stesso vale per la Siria. Sia Obama che Trump hanno rifiutato di inviare nuove truppe nella regione per lasciare il lavoro sporco a Mosca e Teheran. Così russi e iraniani adesso hanno acquisito un peso regionale destinato a durare a lungo.

Perché l'Italia (e la Lega) resteranno filo-Putin. La versione di Spannaus

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