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Una delle prime regole della comunicazione politica è fare quanto si è comunicato e comunicare quanto si è fatto. Si intende con questo assunto, solo apparentemente autoreferenziale, che è necessario, da un lato, conferire sostanza, con la propria azione politica, alle promesse elettorali che hanno generato il consenso dell’elettorato; dall’altro canto bisogna fornire adeguate informazioni presso i cittadini elettori di quanto si sta realizzando dentro alle istituzioni, per non spezzare il flusso di comunicazione che durante la campagna elettorale ha generato la fiducia nei confronti di un leader, di un partito e di un programma.

Alla luce di queste leggi di fondo è possibile tracciare alcune linee comuni sulle modalità di comunicazione dei ministri del governo Conte nel corso di questo primo anno di attività. Un esercizio semiserio che si presta a porre in luce alcuni stili di comunicazione comuni, emersi nella gestione dei differenti dicasteri.

I COMUNICATORI POLITICI

Salvini e Di Maio. Continuare a comunicare sempre e ovunque, di persona, sui mass media, tramite social è il destino necessitato dei due vice premier, in ragione del loro ruolo di capi delle due anime della coalizione di governo. Tuttavia, le similitudini in campo comunicativo si fermano a questo. Le scelte comunicative di Salvini si sono accentrate su pochi argomenti (migrazione, sicurezza) e molti hashtag, spesso mascherando con un modello di comunicazione neopopulista, rivolta alle piazze tenute in uno stato di campagna elettorale permanente, un’azione politica sovente svolta al di fuori dei canoni e dei recinti istituzionali. Questa strategia di comunicazione, con un ruolo non indifferente giocato dall’ascolto attivo del sentiment della rete, ha ottenuto risultati elettorali significativi alle regionali e alle europee 2019. Schema vincente non si cambia, intendendo con schema la capacità di dettare una agenda politica dei temi, la capacità di fondere a caldo la comunicazione di piazza e social, tenendo tiepido il rapporto con i mass media, la personalizzazione dello storytelling, tra cene con peccati di gola e domeniche al lago con la fidanzata. Tuttavia, la foto di Renzi al 40% del consenso elettorale, regalata dal sottosegretario leghista Giorgetti al ministro dell’Interno per ricordare la caducità del consenso fondato sulla comunicazione personale e sull’engagement della rete, dovrebbe essere il monito per Salvini proprio in momenti come questo, in cui tutto sembra funzionare a puntino.

Diversa la situazione del vice premier Di Maio. Supportato da una macchina di comunicazione che è parsa, in occasioni recenti, più un intralcio che un vantaggio, Di Maio saprebbe cosa comunicare, a chi dirigere il proprio messaggio e come massimizzarne l’effetto. Egli appare tuttavia ingolfato dai vincoli del difficile rapporto tra correnti all’interno del Movimento 5 Stelle e quello, ancora più complesso, con una base elettorale ondivaga e pronta a cedere alle promesse elettorali dei competitori politici. In particolare, nella recente campagna per le europee, le difficoltà di Di Maio hanno riguardato l’esigenza di destreggiarsi tra temi in cui il vice premier 5 Stelle decide e comunica personalmente, questioni in cui è portavoce delle scelte del M5S, e ambiti in cui si limita a riportare le preferenze collegiali assunte da una parte della base su Rousseau. Questa ambivalenza, tutta politica e interna al M5S, determina una incertezza del tono di comunicazione, che spesso appare discontinuo sulla selezione dei temi, sulle modalità di trasmissione, tuttora troppo sbilanciata sui social, con il rischio di tenere fuori parti importanti di un elettorato potenziale, e sulla leadership comunicativa del giovane vice premier. Rincorrere le strategie comunicative di Salvini allora non pare l’opzione migliore, soprattutto perché le basi elettorali dei due alleati di governo sono, nella sostanza e nella forma, piuttosto differenti. Chissà che la struttura di comunicazione del M5S non lo capisca, prima di cadere in altre incertezze, come il lancio delle foto romantiche del ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico.

GLI ISTITUZIONALI DIETRO LE QUINTE

Tria, Moavero Milanesi. Che si tratti di dedicarsi a dossier rilevanti come l’aumento dell’Iva, tenere le fila delle relazioni con le istituzioni europee, seguire le complesse vicende di politica estera, in un’ottica sempre più in grado di associare la dimensione multilaterale con quella bilaterale, Tria e Moavero Milanesi sono una garanzia. Essi si manifestano graniticamente presenti e costantemente coinvolti in prima persona, ma con il desiderio di restare sempre un passo indietro nella comunicazione. Questo determina che la loro strategia di comunicazione sia tutta risolta nella dimensione istituzionale e si mantenga scevra da qualsiasi personalismo. Una boccata d’ossigeno per chi può fare affidamento a comunicati stampa e dichiarazioni ufficiali per comprendere cosa fanno e cosa dicono questi due importanti esponenti del governo Conte, invece di smarrirsi nel flusso di dirette social, tweet, comizi di piazza, ospitate televisive, dichiarazioni non ufficiali e retroscena lasciati filtrare.

QUELLI CHE HANNO SCELTO DI PARLARE CON LE LORO BASI

Grillo, Fraccaro, Bussetti, Trenta, Bonafede, Centinaio, e in misura diversa Stefani sono ministri che hanno scelto di orientare il proprio flusso di comunicazione prevalentemente nei confronti delle categorie di soggetti che devono essere regolati dalle politiche ministeriali. Che si tratti di valorizzare il ruolo dei militari italiani nelle missioni di pace nel mondo, di rivendicare la qualità dei prodotti agroalimentari del made in Italy, o di testimoniare l’importanza del personale del comparto sanitario e farmaceutico per sostenere campagne di salute attiva, questi ministri hanno scelto di comunicare più con le loro basi – militari, agricoltori, comparto sanitario e farmaceutico, corpo docente, professioni legali, burocrazie regionali e degli enti locali, esperti di policy di partecipazione democratica – che sviluppare una comunicazione generale sulla propria attività politica, rivolta ai cittadini-elettori. Una strategia comunicativa di medio raggio, che porta i ministri in questione ad essere presenti sui media solo quando partecipano ad attività con interlocutori attivi nel proprio ambito di politiche, e ad interloquire con i propri gruppi di riferimento, in eventi o sui social, senza lasciare troppe altre tracce di sé in termini di comunicazione.

I MINISTRI A COMUNICAZIONE DIFFICILE

Bonisoli, Costa. Hanno comunicato pochissimo la propria attività, spesso agganciandosi in modo poco efficace a tematiche di attualità e senza utilizzarle come leva per far conoscere le proprie attività istituzionali. Le dichiarazioni di Bonisoli sul valore culturale di Grande Fratello e cinepanettoni, così come il mutamento di linea sulle domeniche gratis al museo, denotano una certa naïveté nell’approccio comunicativo. Ugualmente, la concentrazione di Costa sulla campagna comunicativa #plasticfree nel suo ministero – mentre il modello dei roghi tossici si diffondeva dalla Campania al resto dell’Italia e i tavoli per i rifiuti a Roma diventavano più numerosi delle soluzioni trovate al problema – manifesta una scarsa visione prospettica dei temi di primo piano per la comunicazione nel settore ambientale, un ambito così rilevante in termini di consenso nella stagione attuale. Una serie di elementi che fanno riflettere sulla correlazione tra difficoltà politiche e incertezze comunicative in questi due casi.

I CONFLITTUALI 

Fontana, Lezzi, Bongiorno. Questi ministri, tutti connotati da una forte capacità comunicativa personale, hanno selezionato – o si sono ritrovati a dover scegliere– un modello di comunicazione conflittuale e divisiva  per informare sulle proprie attività di governo. Differenti le ragioni che hanno portato a questa opzione. Lezzi si è trovata ad essere Ministro del Sud, contesto in cui lo scarto tra le promesse elettorali e l’azione di governo è risultata maggiore. Le difficoltà legate a questa circostanza hanno portato alle contestazioni della ministra pentastellata Barbara Lezzi in una pluralità di occasioni (NoTap e Xyllella in Salento, centri sociali a Bagnoli) cui la ministra ha sempre risposto con il fervore comunicativo che la caratterizza. Una scelta adeguata ad un confronto da campagna elettorale, più che all’esercizio di un ruolo istituzionale. D’altro canto, il ministro leghista Fontana ha una impostazione così idealmente forte delle politiche per la famiglia da essere entrato necessariamente in conflitto con quegli attori collettivi che non rientravano appieno nella sua visione. Egli ha così proposto una comunicazione molto chiara nella sua volontà di essere divisiva, ricevendo, in cambio, attacchi mediatici da parte di numerose comunità di riferimento. Così, la ministra Bongiorno, spesso attiva nella comunicazione in materia di giustizia, legittima difesa e violenza domestica sulle donne, più che nel settore della Pa, ha sviluppato una comunicazione molto incentrata su di sé, sulla sua attività e sui suoi principi. Nel fare questo è capitato che sia entrata in conflitto con stakeholder che esponevano visioni differenti in materia di legittima difesa, violenza domestica, ruolo delle donne. Nel continuare questa strategia comunicativa, la ministra leghista ha ritenuto di far emergere la propria buona dialettica, maturata in decenni ai vertici della professione legale, più che una comunicazione istituzionale rassicurante e coesiva.

FUORI CATEGORIA

Toninelli. La comunicazione del ministro è stata spesso oggetto di considerazioni scherzose, volte a sottolineare questioni politiche, più che problemi in termini comunicativi. La dimensione lunare di alcune dirette Facebook (prontamente tipizzate dalla satira di Crozza), la video-intervista in cui dichiarava di aver acquistato un potente Suv diesel, dopo aver combattuto a lungo per l’inserimento di incentivi alle motorizzazioni pulite nella legge di Bilancio, alcune dichiarazioni paradossali dopo il crollo del Ponte Morandi hanno contribuito a costruire la leggenda di un ministro che sbaglia ogni formato e registro di comunicazione. Il paradosso che si è prodotto è stata la creazione di un modello distintivo di comunicazione di Toninelli, in cui l’eccesso nelle previsioni, lo sbilanciamento nelle forme, l’incertezza nell’uso degli strumenti social rendono il ministro molto riconoscibile e “umano, troppo umano…”. Quasi un plus in tempo di assenza di sbavature nella comunicazione istituzionale.

elettori

La comunicazione dei ministri a un anno di governo. Le pagelle di Antonucci

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