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Una lettera a Repubblica per rispondere a Piero Ignazi citando i risultati del suo governo sulla povertà, poi dritto al Senato, dove ha dettato la linea del gruppo sfruttando i numeri di cui gode tra i senatori dem scelti da lui un anno e mezzo fa. Matteo Renzi è tornato attivo come ai bei tempi: solo che, in questi anni, sono cambiate un po’ di cose. Se un tempo guidava un partito che superava il 40% dei consensi trainandolo con il proprio carisma e la propria popolarità, in un Paese che lo stimava enormemente, grato della “svolta veloce” che aveva dato alla politica italiana, oggi il suo gradimento è invece ai minimi termini. Meno di un cittadino su quattro dichiara di aver fiducia nell’ex sindaco di Firenze, e anche nel Pd non ha più il seguito di un tempo: basta vedere i dati delle ultime primarie. Il trionfo di Zingaretti, infatti, va letto anche come il trionfo di una discontinuità netta nel partito.

Tra gli italiani, invece, l’ultimo dato dell’Atlante Politico di Demos per Repubblica segna, appunto, un 23% di fiducia: otto punti meno di Berlusconi, solo Beppe Grillo tra i leader nazionali se la passa peggio. Ciò che però dovrebbe preoccupare di più è il trend: da maggio a luglio l’ex premier ha perso altri tre punti, mentre Zingaretti ne recuperava due, raggiungendo il 39%, e Gentiloni uno, portandosi al 43%.

Tuttavia, non bastano questi dati a oscurare Renzi: certo, il suo iperattivismo non può far bene ai consensi del Partito democratico, visto il suo bassissimo indice di gradimento. Ma d’altro canto, nessuno nel Pd ha la sua capacità di mobilitare ed entusiasmare una base che segue la sua leadership prima ancora delle posizioni dei Dem. E la sua capacità di incidere nel dibattito pubblico è una dote innata che hanno in pochi. È evidente che all’interno del Partito l’ex sindaco fiorentino si senta in gabbia, lontanissimo dalle posizioni di Zingaretti e della nuova maggioranza. Fuori, però, al momento rischierebbe di non trovare spazio.

Questo spiega quindi il suo grande attivismo degli ultimi tempi: la necessità di tenere mobilitata la base, tenendo aperta la porta per una nuova formazione libdem che, con una leadership non più sulla cresta dell’onda come la sua, ad oggi non avrebbe chances di raggiungere una centralità politica, ma domani chissà. D’altronde, i tempi del voto fluido rendono le elezioni ogni volta più incerte, e leader di razza come Renzi si trovano difficilmente. Il Pd, però, deve stare attento: se verrà ancora identificato con un leader in caduta libera nei sondaggi, già bocciato alle urne, faticherà a tornare in alto.

Renzi ha (ancora) i numeri ed è tornato. L’analisi di Diamanti

Di Giovanni Diamanti

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