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La Speaker della Camera Usa, la leader democratica Nancy Pelosi, è volata ieri in Giordania per incontrare in una cena di lavori il re Abdallah II con cui ha discusso questioni che vengono descritte come “vitali” per la crisi al nord siriano innescata dall’attacco turco contro i curdi.

Pelosi ha guidato una speciale delegazione bipartisan composta da nove congressisti che hanno deciso di prendere in mano il dossier. Un tentativo con cui il più potente degli apparati statunitensi, Capito Hill, sta cercando di aggiungersi all’amministrazione — o forse di scavalcarla — per uscire dal pantano. 

L’avanzata dei militari di Ankara e delle milizie affiliate è attualmente in pausa, fermata da un intervento politico-diplomatico americano, quando tre giorni fa il vicepresidente Mike Pence ha guidato un’altra delegazione che con un blitz nella capitale turca ha convinto Recep Tayyp Erdogan a fermare per cinque giorni i combattimenti.

Le cose andranno meglio quando sconfiggeremo il terrorismo, twittava Erdogan rispondendo a Donald Trump che annunciava trionfante il break raggiunto dai suoi uomini; “Sconfiggiamo il terrorismo!” commentava l’americano. Pelosi si inserisce in questo schema perché al Congresso intendono avere voce in merito, almeno adesso, dopo che l’avanzata turca è partita come conseguenza di una telefonata in cui l’americano ha concesso spazio al turco, una benedizione implicita su piani che Erdogan mostrava al mondo durante l’ultima UNGA. Un’iniziativa presa da Trump senza consultare nessuno (né collaboratori, né dipartimenti, tantomeno congressisti e alleati con cui va poco d’accordo)  e che ha creato perplessità tra i meccanismi interni al Paese. 

Questa mattina lungo il confine turco-siriano ci sono stati scontri, che hanno gustato la tregua. I turchi dicono che sono stati i curdi i colpevoli, gli altri viceversa. Accuse a vicenda che avvelenano un clima già delicato: la Turchia vorrebbero allontanare i curdi di trenta chilometri dal confine, su questo ha chiesto aiuto agli americani, ma anche russi e regime — che nel frattempo, insieme all’Iran e senza gli Usa, disegnano la nuova geografia delle influenze nell’area.

“Abbiamo cercato questo incontro”, spiegano i portavoce dei congressisti andato in Giordania alla stampa, in “un momento critico per la sicurezza e la stabilità della regione, per l’aumento del flusso di rifugiati, sulla pericolosa apertura che è stata fornita all’Is, a alla Russia e all’Iran”. Pelosi & Co. ora cercano di crearsi una dimensione politica in cui muoversi.

Non va mai sottovalutato il momento: è in corso infatti la fase di avvio, già scoppiettante, della campagna elettorale per il 2020, quella della riconferma di Trump e della rincorsa dei Democratici. Quella guidata da Pelosi era una delegazione che, davanti alle decisioni istintive ed extra-rituali di Trump, si sposta in modo netto per riaffermare il ruolo degli Stati Uniti. La Giordania è un alleato storico con cui gli Usa hanno condiviso le attività durante la guerra civile siriana (sia pro-ribelli, che anti-Is), e che ha sofferto più di altri i contraccolpi del conflitto in termini di profughi accolti (centinaia di migliaia) e di equilibri generali. Amman è un Paese centrale per i giochi potere nel quadrante mediorientale.

Nancy Pelosi vola in Giordania. Dossier Siria di nuovo in mano al Congresso?

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