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“Questo caso fa perdere la fiducia nella giustizia italiana”. Raffaele della Valle taglia le parole con l’accetta. Il “principe del foro”, uno dei più esperti avvocati penalisti italiani, noto ai più per aver difeso negli anni ‘80 il giornalista Enzo Tortora dalle accuse, rivelatesi false, di associazione camorristica e traffico di droga, parla dalla sala Nassirya del Senato. Lo fa in veste di difensore di Vitaly Markiv, il soldato della Guardia nazionale ucraina che lo scorso 11 luglio è stato condannato in primo grado dalla Corte di Assise di Pavia a 24 anni di carcere per l’omicidio del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e dell’interprete e dissidente russo Andrej Mironov. Un giallo giudiziario che è ancora agli inizi e pure ha già avuto ripercussioni fuori dai tribunali, con l’Ucraina che accusa la giustizia italiana di aver condannato un loro “eroe” senza alcuna prova.

La conferenza stampa a Palazzo Madama è stata convocata giovedì pomeriggio dai Radicali italiani, che fin dall’inizio hanno dato il loro pubblico sostegno alla battaglia legale di Markyv per un caso dai contorni tutt’altro che definiti. A fianco dell’avvocato difensore c’erano la segretaria del partito Silvja Manzi e il presidente dell’Unione Camere Penali (Ucp) Gian Domenico Caiazza. In prima fila, in religioso silenzio, Emma Bonino, in sala l’ambasciatore ucraino in Italia Yevhen Perelygin e il vice-ambasciatore Dimitri Volovnykiv.

I fatti sono noti. Ventinove anni, nazionalità italoucraina, Markyv è accusato di aver sparato con un mortaio il 24 maggio del 2014 a Rocchelli, Mironov e al fotografo francese William Roguelon, giunti da Sloviansk ai piedi della collina Carachun controllata dall’esercito ucraino per documentare la vita della gente nel Donbas.  A raccontare la sua versione dei fatti al processo, dove accanto ai genitori di Rocchelli si è costituita parte civile la Federazione nazionale della stampa, il francese Roguelon, unico sopravvissuto alla sparatoria.

La condanna in primo grado, annunciata in una sala gremita di connazionali ucraini in protesta, ha superato le aspettative dell’accusa, che aveva chiesto diciassette anni. In primavera è previsto il processo in appello. “Una sentenza del genere, senza che sia mai stata trovata la prova che Markiv abbia sparato, ha dell’incredibile” spiega dal Senato Della Valle. Troppe le ombre nella ricostruzione dell’accusa, inesistenti, dice l’avvocato, gli elementi probatori. “Anche ove fosse accertato che sia stato un mortaio ad uccidere Rocchelli e Mironov, non si potrebbe comunque pervenire a una conclusione. Quel giorno era in corso un conflitto a fuoco con le forze filorusse, e sia russi che ucraini usano gli stessi identici mortai”. La toga piemontese punta il dito contro la stampa italiana, che a suo dire ha montato una campagna pregiudiziale per dipingere Markiv come efferato criminale senza approfondire gli atti del processo, “ignorano il principio conoscere per deliberare”.

Anche per Caiazza, che non ha seguito il processo, persiste più di qualche dubbio sulla condanna della Corte d’Assise di Pavia. “So quello che leggiamo dalle cronache, ma i processi con una tale distanza dal fatto devono sempre interrogarci”.

Più dirette le accuse di Manzi. Per la segretaria dei Radicali il caso Markiv è solo l’ultimo tassello di un quadro più grande che vede l’Italia soggetta a una campagna di influenza russa e pregiudizialmente schierata contro l’Ucraina. Ne è per buona parte responsabile il vicepremier Matteo Salvini, accusa. “Si è spinto a denunciare senza alcuna prova che gli ucraini avevano preparato un attentato contro di lui con un missile aria-aria”, spiega Manzi strappando un sorriso a Bonino, “eh la miseria”. C’è anche spazio per un affondo sul caso Savoini: “Ci ha confermato che una parte della politica, in questo caso la Lega di Salvini, è sensibile alle campagne di influenza russe”.

Il caso Markiv? Per i radicali conferma di interferenze russe

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