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Dovrebbe essere all’ordine del giorno nel prossimo Consiglio dei ministri che si terrà lunedì il tema dell’Autonomia differenziata di tre regioni: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, anche se difficilmente si troverà un punto di caduta prima delle europee. La ministra per gli Affari regionali, Erika Stefani, lo ha ribadito ieri dalle pagine di Repubblica, altri ostacoli sul progetto portato avanti dal governo con le tre regioni “non sono più accettabili” e il riferimento è al blocco della riforma voluto dal Movimento 5 Stelle. Eppure sul testo dell’accordo è tutto ancora in dubbio, infatti né sul contenuto né sulle procedure con ci si arriverà alla sua eventuale delibera c’è niente di chiaro. “L’intesa potrebbe portare conseguenze di vastissima portata e trovo surreale la circostanza che gli italiani non siano minimamente informati di quello che davvero c’è nel testo di queste possibili intese”. Sono le parole di Gianfranco Viesti, professore di economia applicata all’Università di Bari e autore, tra i tanti volumi, dell’ebook “Verso la secessione dei ricchi?” (Laterza). Si sa poco del testo dell’accordo, dunque, ma a rendere il quadro ancora più surreale è il silenzio delle varie forze politiche attorno a questo tema, che potrebbe cambiare l’assetto dell’Italia.

Professore, lei ha parlato spesso, anche sulla rivista Formiche, di questa riforma come di una secessione dei ricchi. Perché?

Perché sposta a tre regioni delle competenze sterminate che cambierebbero radicalmente il modo di funzionare del Paese. Ridurrebbero significativamente la capacità delle istituzioni centrali di organizzare e gestire politiche pubbliche in ambiti fondamentali. Un aspetto surreale di tutta questa situazione è che non si conosce ufficialmente il merito delle possibili intese tra governo e regioni, ma in base sia alle richieste delle regioni, sia alle bozze informali che sono circolate possiamo capire che queste riguardano praticamente tutti gli ambiti di intervento pubblico: dall’istruzione alla salute, dall’ambiente al territorio alle infrastrutture, all’acqua, ai rifiuti, alla previdenza integrativa, ai beni culturali. Quindi non si tratta di specifiche materie in base a specifiche esigenze delle regioni, ma di quasi tutte le materie presenti nell’articolo 117 della Costituzione. A questo va aggiunto che se si dovesse concludere l’intesa con queste tre regioni, altre sono pronte a seguire. Credo che tutte le regioni poi, ragionevolmente, chiederanno anche loro competenze aggiuntive e quindi è un processo che una volta avviato non si sa come si potrà fermare.

Le regioni chiedono anche maggiori risorse fiscali…

Esatto. C’è, in particolare di Lombardia e Veneto, il tentativo di ottenere insieme a queste competenze molte più risorse rispetto a quelle che lo Stato oggi spende per le stesse funzioni nei loro territori. E quindi anche le conseguenze di riallocazione delle risorse fiscali tra le regioni potrebbero essere significative. Nonché la circostanza che grandi e ricche regioni potrebbero trattenere sul proprio territorio una parte del gettito fiscale il che ridurrebbe significativamente le risorse disponibili per il tesoro per far fronte al debito pubblico. Sono conseguenze di vastissima portata e trovo surreale la circostanza che gli italiani non siano minimamente informati di quello che davvero c’è nel contenuto di queste possibili intese.

Non si è parlato, poi, di una discussione in Parlamento, in effetti…

Non si capisce bene, non è chiaro il processo. Il tentativo, dall’inizio, delle regioni e della Lega e del ministro competente è quello di concludere prima l’intesa con il governo e poi fare un passaggio parlamentare di mera ratifica. Quello che avverrà però non è assolutamente chiaro: non è chiaro se si farà un provvedimento attuativo che vale per tutte le regioni, se si procede soltanto con quelle che l’hanno richiesto, né come avverrà questo processo.

Quali sono i rischi?

Uno dei pericoli è che in Parlamento arrivino delle bozze molto generali, rimandando tutta la normazione di dettaglio – che è quella più importante – a commissioni paritetiche Stato-Regione che sarebbero totalmente sottratte dal controllo parlamentare. Si tratta, comunque la si pensi, di un problema serissimo, perché trattando di materie così importanti trovo fondamentale che il Parlamento abbia tutto il modo di discutere e controllare nei dettagli per capire che cosa si sta decidendo.

Al netto di tutte le criticità su procedure e contenuti dell’accordo, non pensa però che sia necessario un riordino territoriale in Italia per migliorare il rapporto tra Stato, regioni e comuni?

Con tutta probabilità sì, ma bisogna partire da tutt’altra parte. Bisogna partire dal 117 (articolo della Costituzione, ndr), cioè dalle regole che valgono per tutti e bisogna avere il coraggio di includere in questa revisione anche le quattro regioni a statuto speciale e le province autonome. Partire da regole che siano valide per tutti, sia negli aspetti di competenze, stando bene attenti al rapporto tra regioni e città per esempio, sia negli aspetti relativi al finanziamento, e quindi con meccanismi anche differenti, basati sui fabbisogni nella singola regione. È esattamente l’opposto di quello che si sta facendoora, cioè al posto di fare un processo sicuramente complesso, ma profondo, come quello di fare un “tagliando” alle autonomie regionali dopo 50 anni dalla loro istituzione e quindi con una grande discussione pubblica, si sta facendo un processo che riguarda solo alcuni e condotto largamente in segreto.

Ma una maggiore autonomia può voler dire, come affermano in tanti, anche maggiore responsabilizzazione e impegno?

L’affermazione è che, in materie specifiche, se a gestirle è la regione è meglio di come possa gestirle lo Stato. Il mio commento è che può darsi, ma dipende dalle materie e non c’è alcun documento di nessuna delle tre regioni che porta nessuna evidenza in questo senso. Cioè le tre regioni non hanno mai argomentato perché la gestione dei rifiuti, o la scuola o i corsi universitari di medicina sarebbero meglio gestiti a livello regionale che a livello nazionale. Può darsi che in alcune materie sia opportuno un maggiore decentramento, può darsi che in alcune materie sia opportuno un minore decentramento, il discorso non va condotto su basi ideologiche, che sono entrambe inaccettabili – ricentralizzare tutto/decentralizzare tutto -. Un Paese serio discute nel merito, materia per materia, e valuta quali sono, carte alla mano, l’allocazione ottimale dei poteri tra centro e periferia.

Non c’è chiarezza neanche sull’allocazione delle risorse?

Il processo è ancora ricco di tentativi che io trovo inaccettabili di operare l’allocazione di risorse in base a criteri inconsistenti. Su Eticaeconomia si può trovare un mio scritto di qualche settimana fa che racconta uno dei casi in questione, cioè come in base alle bozze disponibili ci sarebbe una riallocazione cospicua delle risorse per l’istruzione scolastica basata su un criterio totalmente inconsistente.

Quale crede che sia la volontà alla base di questa proposta?

Per rispondere a questa domanda non parlo più di fatti, ma di una mia opinione. Io credo che sia un processo sostanzialmente secessionista. Ci sono molte forze politiche ed economiche in queste regioni, in grado diverso, di più in Veneto, un po’ di meno in Lombardia, un po’ meno ancora in Emilia Romagna, che sostanzialmente non credono più alla possibilità dell’Italia di rilanciarsi unitariamente come Paese, e quindi è una sorta di assicurazione contro il fallimento dell’Italia: io mi tengo quante più competenze possibile, quante più risorse possibili, rimango in Italia anche se solo formalmente, allento molto i miei legami con il resto del Paese, dopodiché vediamo quel che succede. Se il Paese affronta un’altra crisi io sarò nella condizione di difendermi molto meglio perché sono una regione molto ricca, con più risorse e più competenze.

Una vera e propria secessione…

Se questo fosse almeno in parte vero sarebbe una cosa di importanza straordinaria, secondo me del tutto assimilabile a quanto sta succedendo in Spagna, che meriterebbe una discussione politica molto importante, ma come ulteriore elemento surreale del quadro, non ce n’è alcuna traccia. Abbiamo un partito, la Lega, che è a favore e tutti gli altri che sono assolutamente silenziosi. Non hanno niente da dire sulle caratteristiche e sull’unità del Paese. È un quadro davvero surreale. Quando ci sono queste difficoltà, un Paese serio ne discute apertamente, e invece quello che si sta facendo è evitare la discussione e cercare di mettere a segno un colpo a vantaggio di pochi.

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