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A Palazzo Madama si è spento il governo gialloverde. Nell’aula di Montecitorio si accende quello giallorosso. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte battezza il nuovo esecutivo con un lungo discorso programmatico di fronte ai deputati. Al suo fianco questa volta c’è solo un silenzioso e corrucciato Luigi Di Maio, oggi ministro degli Esteri. Matteo Salvini è immerso in un bagno di folla fuori dal palazzo, e chiede a gran voce il voto in una manifestazione di piazza senza bandiere di partito organizzata da Giorgia Meloni e disertata da Silvio Berlusconi.

Conte inizia da una premessa di metodo che deve segnare un solco rispetto ai quattordici mesi con la Lega. “Vogliamo volgerci alle spalle il frastuono dei proclami inutili, delle dichiarazioni bellicose e roboanti”. È un monito che guarda al passato ma anche e soprattutto al presente. La partenza sprint di ministri come Paola De Micheli e Lorenzo Fioramonti, già protagonisti di un polverone mediatico per le dichiarazioni tranchant su grandi opere e scuola, ha suonato un campanello d’allarme a palazzo Chigi. C’è addirittura chi chiede una “cabina di regia”, erede del più sfortunato comitato di conciliazione gialloverde. “Ci prendiamo il solenne impegno a curare le parole, ad adoperare un lessico più consono e rispettoso” è la promessa di Conte.

In un’ora e mezzo il premier presenta uno ad uno i punti del programma giallorosso, all’insegna del “nuovo umanesimo”. La tensione non è la stessa che ha accolto meno di un mese fa l’accorata reprimenda al Senato contro Salvini. Ai fischi Conte risponde con sarcasmo, ripreso dal presidente della Camera Roberto Fico: “richiamo io i deputati”.

Due le direttive che guidano l’intero programma. Europa e sviluppo sostenibile. C’è un tocco di blu e verde in tutte le proposte che il premier illustra in aula. Un piano d’azione genuinamente di sinistra, che in politica estera mantiene però un saldo ancoraggio agli storici pilastri della diplomazia italiana: “le relazioni transatlantiche, con il corollario della nostra appartenenza alla Nato e l’imprescindibile legame con gli Stati Uniti”.

La sintesi fra istanze dem e grilline c’è nelle parole e trova gli applausi di entrambe le pattuglie parlamentari, ma non sarà facile da trovare alla prova dei fatti. Sulle grandi opere Conte frena la De Micheli (la difende però dagli “ignobili attacchi” del web), che in un’intervista a La Stampa aveva promesso un sonoro sì ai cantieri fermi e un più velato no alla revoca delle concessioni ad Autostrade. “Il governo procederà a una progressiva ma inesorabile revisione di tutto il sistema delle concessioni – avvisa invece Conte – porterà a completamento il procedimento senza alcuno sconto per gli interessi privati, nel ricordo delle 43 vittime del ponte Morandi”.

Anche sulle trivelle non c’è spazio per compromessi. Il premier annuncia una normativa “che non consenta più il rilascio di concessioni di trivellazioni per l’estrazione di idrocarburi”. Chi verrà dopo questo governo, taglia corto, “se vorrà assumersi la responsabilità di portare il Paese indietro dovrà farlo modificando questa norma di legge”.

Su autonomie e giustizia cerca di tenersi in equilibrio. La prima, dice, deve essere “giusta e cooperativa, salvaguardare il principio di coesione nazionale e solidarietà e garantire i livelli essenziali delle prestazioni per i diritti civili e sociali”. Troppo vago e troppo poco per i governatori del Nord, che al Forum Ambrosetti di Cernobbio, Attilio Fontana in testa, hanno chiesto esplicitamente di includere fra le materie ex art. 116 comma 3 la scuola e la sanità. Quanto alla Giustizia, Conte accenna brevemente alla “riduzione dei tempi” e alla “riforma del Csm”, sorvola invece sul nodo cruciale: la riforma della prescrizione avviata da Alfonso Bonafede.

Il presidente non manca di strizzare un occhiolino a moderati, cattolici, al mondo imprenditoriale che a Cernobbio ha appena promosso con riserva la nuova maggioranza. Parla di scuola per tutti, asili nido gratuiti, politiche a sostegno della natalità. Parla di sostegno pubblico alle pmi, perché “piccolo è bello, ma se messo nelle condizioni di crescere è ancora più bello”.

Affronta di petto la questione fiscale, sapendo che è il cavallo di battaglia su cui la Lega cavalcherà per una lunga, intensa campagna elettorale. La flat tax è storia vecchia, la bussola deve infatti rimanere la “progressività della tassazione”. Sul fisco le parole d’ordine che mettono d’accordo dem e grillini sono poche: semplificazione, alleggerimento della pressione fiscale ma nel rispetto dei vincoli posti dal quadro di finanza pubblica, e lotta senza quartiere all’evasione fiscale. Sul piano delle politiche di sostegno al reddito c’è una intesa comune per l’istituzione di un salario minimo, dice Conte incassando un sonoro applauso anche dai parlamentari Pd.

Di queste istanze si farà specchio la prossima legge di bilancio. Sarà coraggiosa ma a prova di bollino Ue, spiega Conte. La priorità è disinnescare l’Iva e abbassare il cuneo fiscale. I mercati “stanno investendo con fiducia su questa nuova fase” rivendica con orgoglio il premier. Per questo non ci sarà spazio per politiche che gravino ulteriormente sul debito pubblico, “ridurre la spesa per interessi sul debito è una vera riforma strutturale”.

L’ascia con Bruxelles è dissotterrata. Il premier alla Camera descrive la nuova fase europea della maggioranza giallorossa. Fa sue le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulla necessità di rivedere il Patto di Stabilità e di Crescita che già hanno fatto il giro delle cancellerie europee.

E rivendica al contempo i suoi meriti nell’allentamento delle tensioni con l’Ue, “ho evitato due procedure di infrazione”. Il nuovo corso europeista partirà da una netta cesura con la stagione gialloverde. “Difendere l’interesse nazionale non significa abbandonarsi a sterili ripiegamenti isolazionistici” è l’affondo di Conte.

Si partirà dal banco di prova più duro, quello che più espone la maggioranza Pd-M5s al fuoco delle opposizioni: l’immigrazione. Lotta all’immigrazione clandestina, solidarietà nei fatti (non a parole) degli Stati membri, accoglienza a chi ne ha diritto e rimpatri dei clandestini.

Questi i pilastri per il Conte bis, di cui il premier vorrebbe discutere in una prossima “Conferenza sul futuro dell’Europa”. Ne ha già discusso, rassicura, con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Il nome della tedesca trasforma l’aula in un putiferio. E marca una volta per tutte la nuova linea Maginot che divide in due il Parlamento. La “coalizione Ursula” non è più solo un esperimento politologico. È già realtà.

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