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In Russia c’è aria di festa, oggi. Anche se i cortei e le bandiere vanno a marcare le continue minacce di conflitto con l’Ucraina, che trovano la madre di tutte le dispute in Crimea. Il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, oggi sarà a Sebastopoli, la capitale dell’autoproclamata repubblica di Crimea, oggi governata de facto da Mosca.

Sono passati cinque anni da quel referendum che ha squarciato il velo sulle mille contraddizioni e fratture irrisolvibili che animano ancora questa parte dell’ex Unione Sovietica. Oggi, la penisola più estesa sul Mar Nero, dalla posizione strategica e già dai tempi dell’Urss uno dei porti più importanti della marina commerciale e militare. Putin oggi inaugura due impianti di produzione di energia, a sottolineare l’integrazione economica, anche la dipendenza della Crimea dalla Russia.

Un passato imperiale prima e sovietico poi, a cui Khrushchev aveva cercato di mettere fine nel 1954 con la cessione della Crimea all’Ucraina e che, invece di mettere una pietra sopra a un’epoca di contese, ha finito per generare la madre di tutte le battaglie. Battaglia che, sembra chiaro, per Mosca ormai è una questione chiusa. Il Cremlino non solo ha recintato il confine fra la penisola e l’Ucraina con un muro di filo spinato, adesso si gode un trionfo fatto di fervore patriottico, richiamo a un passato pre sovietico, fatto di cosacchi che sfilano in divisa, ricordando il sacrificio di chi si sacrificò durante il conflitto del 2014.

Poco lontano, Kiev incassa, ma tiene alta la guardia. Ad aiutarla, a sorpresa sì, ma solo fino a un certo punto, c’è qualcuno che, in linea del tutto teorica, dovrebbe tenere un atteggiamento diverso. Si tratta della Turchia di Recep Tayyip Erdogan, che negli ultimi mesi ha sviluppato rapporti sempre più stretti con il Paese dall’altra parte del Mar Nero. L’interscambio commerciale è arrivato ormai a 4 miliardi di dollari ed è in crescita costante. A questo va aggiunto un accordo di libero scambio sul quale le due nazioni stanno lavorando da tempo e che porterà l’interscambio a 10 miliardi di dollari.

Proprio dalla Mezzaluna, la settimana scorsa, sono arrivate dichiarazioni di sostegno all’integrità nazionale ucraina che contrastano decisamente con il clima festivo del suo alleato chiave a Sebastopoli. Parole che, per la Turchia, hanno sempre la funzione di prevenire qualsiasi iniziativa secessionista curda, dentro e fuori i confini nazionali, ma che entrano in rotta di collisione con l’alleato moscovita.

Ankara, poi, mira anche ad allacciare rapporti militari sempre più stretti. La Turchia si prepara a consegnare all’Ucraina droni, ricevendo in cambio aerei da trasporto militare per il breve-medio raggio.

I due Paesi sono anche impegnati in esercitazioni congiunte che non hanno fatto piacere al Cremlino. La mezzaluna ha urgente necessità di recuperare il gap di know-how perso da quando i rapporti con gli Stati Uniti hanno iniziato a deteriorarsi. Un’ulteriore dimostrazione, nel caso ce ne fosse bisogno, di come l’alleanza fra Russia e Turchia sia conveniente per entrambe le parti, ma molto fragile, complice anche l’assoluta inaffidabilità della Turchia, non solo con Mosca.

russia, hacker, navalny trump, putin

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