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Tornano i riflettori sul “bail-in”, la regola dell’unione bancaria europea, secondo cui azionisti e titolari di obbligazioni strutturate partecipano pro-quota alle perdite di banche inefficienti e/o in fase di liquidazione amministrativa perché gestite male. Ci sono state polemiche nei giorni scorsi prendendo spunto da un intervento poco meditato del ministro Giovanni Tria nei confronti del suo predecessore, Fabrizio Saccomanni, quando gli accordi vennero negoziati. Il tema è stato ripreso dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco al Forex. Nei commenti apparsi sulla stampa, appare chiaro che tra Italia e Germania ci sono marcate differenze di punto di vista. Era già evidente quando ben cinque anni fa partecipai al libro collettaneo della Fondazione Astrid Towards the European Banking Union: Achievements and Open Problems (a cura di Emilio Barucci e Marcello Messori), Passigli Editori, 2014.

Un contributo importante è stato offerto in questi giorni, nel proprio blog, da Vincenzo Russo, che centinaia di studenti ricordano come appassionato professore di scienza delle finanze all’Università La Sapienza di Roma e che è anche stato membro del Secit e giudice tributario.

Russo sottolinea come le radici del problema risalgano alla riforma bancaria del 1993 che reintroduce il modello della banca universale abrogato nel 1936. “Come hanno dimostrato studi dell’Ente Einaudi a suo tempo coordinati da Tommaso Padoa Schioppa, il sistema banco-centrico italiano è uno dei più arretrati di Europa – sottolinea Russo – e si è creato un legame diabolico per cui le banche sottoscrivono titoli dello Stato e riscuotono cedole relativamente basse, non remunerano i depositi dei risparmiatori, si sono trasformate in agenzie immobiliari, vendono polizze assicurative a tariffe esose, non erogano fidi a imprese con scarsa liquidità”. Russo ricorda che a livello internazionale ed europeo, sono state avanzate proposte mirate a sciogliere questo legame ma in Italia dette proposte sono state respinte senza un vero dibattito pubblico.

Secondo Russo sia la riforma del 1993 che tutti i salvataggi fatti successivamente – emblematico il caso del Monte dei Paschi di Siena – sono contrari allo spirito e alla lettera dell’art. 47 comma 1 della Costituzione il quale dice che “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”, funzioni che si svolgono in via preventiva non solo o principalmente gli organi di vigilanza.

In Italia, e nel resto d’Europa, non si è mai fatto ricorso al “bail-in”. In alcuni casi di salvataggi bancari del recente passato, coloro che hanno subito perdite avevano investito a strumenti ad alto rischio (ma a comparativamente alti rendimenti) senza avere l’essenziale alfabetizzazione finanziaria e forse anche indotti da chi tali strumenti vendeva.

La posizione di Russo è condivisibile. Tuttavia, è difficile pensare ad un ritorno al passato (pre-riforma bancaria del 1993) se non ci sono forti stimoli esterni. Non è neanche necessariamente auspicabile una separazione netta tra banche commerciali e banche d’investimento, anche in quanto il contesto internazionale non sembra favorevole, come dimostrato, ad esempio, dal massiccio supporto, negli Usa, sia democratici sia dei repubblicani alle modifiche del Dodd-Frank Act del 2010, varato dopo la crisi iniziata nel 2007-2008.

Più realistico pensare a ritocchi del “bail in”, e di una maggiore e migliore tutela del risparmio, nell’ambito del completamento dell’unione bancaria. Se con “il terzo pilastro” si giunge ad una “garanzia europea” sui conto correnti, ne va quasi da sé che si dovranno rivedere numerosi regolamenti, anche in materia di vigilanza e di “bail in”.

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Il difficile bail-in. Perché è necessario qualche ritocco

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