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Nella contesa geopolitica, economica e tecnologica tra Stati Uniti e Cina, uno dei campi di scontro più importanti è quello cyber. La conferma arriva dall’ultimo rapporto annuale del Dipartimento della Difesa sugli sviluppi militari e di sicurezza della Cina per il Congresso, che fornisce numerosi dettagli su come le Forze armate della Repubblica Popolare stanno organizzando – secondo il Pentagono – i propri apparati dedicati alla guerra di informazione e le proprie strategie informatiche e di intelligence.

LA STRATEGIA DEL DRAGONE

A differenza dello studio dello scorso anno, concentrato sui continui tentativi di inserimento cinesi nei settori diplomatico, economico, accademico e della difesa, l’attuale documento di 136 pagine reso noto il 2 maggio – riporta C4IsrNet – sottolinea come l’estrazione di informazioni militari sensibili a partire dal settore dell’industria della difesa potrebbe consentire a Pechino di ottenere dei vantaggi. Nel 2015, l’Esercito Popolare di Liberazione ha creato la Forza di supporto strategico (Strategic Support Force, Ssf), un organo che centralizza le missioni di guerra spaziale, informatica, elettronica e “psicologica” in un unico punto. I cinesi, secondo il Dipartimento della Difesa e altri esperti di sicurezza nazionale, sembrerebbero convinti a tal proposito che sia il dominio dell’informazione la chiave per vincere i conflitti. Quest’ultimo potrebbe essere raggiunto, come riporta il documento, rallentando o interrompendo l’utilizzo delle apparecchiature di comunicazione dei suoi rivali.

STRATEGIE IBRIDE E INFOWAR

I leader militari cinesi, è stato descritto anche nelle precedenti valutazioni del Pentagono, sperano di usare in concerto armi cinetiche e cibernetiche. Difesa aerea e missilistica saranno dunque ragionevolmente affiancati da operazioni informatiche e spaziali. L’arma più potente è considerata, però, secondo il DoD, la guerra psicologica, o propagandistica, che finirebbe per influenzare la capacità decisionale dell’avversario. Il documento evidenzia che la strategia cinese consisterebbe anche nell’ottenere sostegno internazionale tramite l’influenza del pubblico di riferimento. La Cina considererebbe il dominio del cyber spazio come una piattaforma in grado di fornire opportunità per operazioni di influenza massicce, che possono all’occorrenza minare la risoluzione di un avversario in una contingenza o in un conflitto. Coerentemente con questa strategia, la Cina condurrebbe – a detta del Pentagono – operazioni di influenza contro istituzioni culturali, media, comunità degli affari, mondo accademico e politico americano nonché contro istituzioni e organizzazioni internazionali per ottenere posizioni ad essa favorevoli. Il Partito comunista cinese cercherebbe, dunque, di condizionare la politica interna, straniera e multilaterale di un Paese cercando di far passare una sua “narrativa”.

la Cina condurrebbe – a detta del Pentagono – nonché contro istituzioni e organizzazioni internazionali per ottenere posizioni ad essa favorevoli. Il Partito comunista cinese cercherebbe, dunque, di condizionare la politica interna, straniera e multilaterale di un Paese cercando di far passare una sua “narrativa”.

LE LEGGI CINESI

A ciò, si legge nel report, vanno sommate le attività condotte da gruppi hacker riconducibili a Pechino come APT10 o la nuova legge sulla cyber security entrata in vigore a giugno 2017, che “promuove lo sviluppo di compagnie tecnologiche nazionali e limite le vendite di Ict straniera”. La stessa legge obbliga le compagnie Ict anche straniere a sottoporsi a controlli governativi, a conservare i propri dati in Cina e a chiedere il permesso di Pechino prima di trasferirli fuori dai suoi confini.
Spesso la legge cinese è stata evocata negli ultimi mesi per un altro dossier, quello riguardante i timori statunitensi di spionaggio ad opera dei colossi tech della Repubblica Popolare come Huawei e Zte, obbligati secondo Washington a collaborare con il proprio governo in virtù di una precisa norma in campo intelligence.

I CAMPI D’AZIONE

Quello tra gli Stati Uniti e Pechino è però un braccio di ferro che abbraccia anche campi trasversali. Un esempio è il progetto One Belt One Road, una “pietra miliare” della strategia di espansione cinese che contemplerebbe anche una parte digitale (fortemente incentrata sul 5G e sui cavi internet sottomarini e non). Inoltre, la Cina – con programmi come Thousand Talents – si rivolgerebbe a suoi cittadini che hanno fatto esperienza in altri Paesi, agevolandone il ritorno in patria per sostenere l’acquisizione di tecnologia straniera o per raccogliere informazioni utili su altre nazioni. Inoltre la Repubblica Popolare sfrutterebbe – secondo il rapporto – il mondo accademico, i think tank e i media statali per avanzare la campagne di soft power a sostegno degli interessi del Paese, che spesso vedrebbero proprio nella Rete il mezzo più efficace di diffusione di influenza.

Così la Cina prova a condizionare la politica americana. L'allarme cyber del Pentagono

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