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Trattare di argomenti sensibili tra cui i diritti umani è ancora un rischio in Cina, dove un tribunale ha condannato a 12 anni di carcere Huang Qi, il primo “cyber-dissidente” del Paese.
L’uomo è finito nel mirino delle autorità a causa del noto sito web che ha fondato e che negli anni ha fatto luce su episodi di corruzione e violazione delle libertà civili.

L’ACCUSA

In particolare, Huang è stato accusato di aver “fatto trapelare segreti di Stato e averli consegnati a entità straniere”. I suoi sostenitori affermano invece che sia uno degli attivisti per i diritti umani più importanti del Paese. Sul suo sito “64 Tianwang”, chiamato così in onore delle proteste di piazza Tienanmen del 4 giugno 1989, l’uomo riportava anche casi locali e altri argomenti di rado trattati dai media cinesi sotto il controllo statale. L’impegno di Huang è valso al sito web il premio “Reporters Without Borders” nel novembre del 2016, scatenando l’ira delle autorità cinesi.

I TRASCORSI

Il webmaster cinese fondò inizialmente Tianwang per contrastare il traffico di esseri umani, un problema particolarmente significativo durante gli anni novanta. In seguito lo scopo del portale si è ampliato per concentrarsi su una campagna contro l’abuso dei diritti umani. Huang, per altro, è già stato incarcerato dal governo, per un periodo di detenzione di cinque anni, dal giugno 2000 al giugno 2005, con l’accusa di “incitamento alla sovversione”. Nel 2008 le autorità cinesi hanno nuovamente provato ad incastrarlo, arrestandolo con l’accusa di “possesso illegale di segreti di Stato”. L’uomo aveva infatti portato avanti una campagna a sostegno dei bambini deceduti a seguito del terremoto nel Sichuan del 2008. In quel caso, a causa degli edifici scadenti, si contarono tra morti e dispersi quasi 87mila persone. Cinque anni dopo, è arrivato l’ennesimo arresto, questa volta assieme ad altri tre giornalisti, catturati dalla polizia dopo che il sito web ha riferito di una donna che si sarebbe data fuoco in piazza Tiananmen.

LA CONDIZIONE DEGLI ATTIVISTI IN CINA

Secondo organizzazioni internazionali a difesa dei diritti umani, durante la prima incarcerazione (nel 2000) presso la prigione numero 1 di Chengdu Huang avrebbe subito trattamenti assimilabili alla tortura. A detta di alcuni ex compagni di cella, l’uomo sarebbe stato picchiato regolarmente e gli sarebbero state negate le medicine di cui aveva bisogno. Amnesty International lo ha nominato in quell’occasione prigioniero di coscienza “incarcerato per l’esercizio pacifico del suo diritto alla libertà di espressione e di associazione” e ha chiesto la sua liberazione immediata. Non di rado, evidenziano i media, il “sospetto” possesso di segreti di Stato viene utilizzato da Pechino come scusa per reprimere il dissenso. Ora Huang dovrà scontare in prigione altri dodici anni, un periodo incredibilmente lungo che riapre il dibattito sul rispetto dei diritti umani in Cina.

Chi è Huang Qi, il primo cyber dissidente cinese condannato da Pechino

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