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Joe Biden si è ufficialmente candidato alla nomination democratica del 2020. Durante un video, l’ex vicepresidente ha dichiarato: “Se regaliamo a Donald Trump otto anni alla Casa Bianca, cambierà per sempre e fondamentalmente il carattere di questa nazione – chi siamo – e io non posso sopportare e restare a guardare che ciò accada”. La linea strategica sembra chiara: cercare sin da subito di attaccare l’inquilino della Casa Bianca, ignorando i numerosi rivali democratici.

Non è mai stato un mistero che l’ex vicepresidente americano nutrisse delle serie ambizioni presidenziali ma è altrettanto vero che – nelle ultime settimane – aveva tentennato parecchio, tanto da far dubitare qualcuno sulle sue reali intenzioni. Il punto è che Biden si è ritrovato esposto a un fuoco di fila, in gran parte arrivato dagli ambienti del suo stesso partito. Non solo gli sono state rimproverate alcune posizioni politiche sostenute negli anni ’70 sul segregazionismo ma alcune donne lo hanno anche accusato di molestie sessuali. Inoltre, svariate testate hanno riportato che, nel 2016, avrebbe esercitato pressioni sul presidente ucraino Petro Poroshenko per silurare un procuratore pronto a indagare su un’azienda in cui lavorava suo figlio Hunter. Del resto, anche discreta parte della base liberal non si è mai detta troppo interessata a una discesa in campo di Biden.

Il problema è d’altronde strutturale al Partito Democratico americano. Da alcuni anni, questa compagine risulta infatti internamente spaccata tra le correnti della sinistra e quelle centriste. Ora, mentre l’ala radicale conta già un elevatissimo numero di candidati alla nomination, i moderati possono contare per adesso solo su Biden. Nome sicuramente di peso ma anche incredibilmente debole. E questo per una serie di ragioni. In politica economica, l’ex vicepresidente sposa una linea tendenzialmente liberista, che non viene oggi granché digerita dalla sinistra dem: una sinistra collocata al contrario su posizioni piuttosto protezioniste, per cercare di riconquistare il voto della classe operaia impoverita della Rust Belt. Ma anche sul fronte della politica estera ci sono dei problemi: in materia, Biden porta infatti avanti idee interventiste e relativamente bellicose. In particolare, da senatore, votò a favore dell’intervento militare in Iraq: un atto che difficilmente la sinistra dell’Asinello gli perdonerà in campagna elettorale. Inoltre, più in generale, le correnti radicali considerano l’ex vicepresidente come espressione dei poteri forti di Washington e Wall Street: non solo per la sua lunghissima esperienza come senatore del Delaware e per la sua attività alla Casa Bianca ma anche – e forse soprattutto – in termini di finanziamenti elettorali. Contrariamente alle micro-donazioni con cui si sostengono la maggior parte dei suoi avversari alle primarie, Biden sembrerebbe pronto ad affidarsi ai grandi finanziatori delle campagne presidenziali di Barack Obama. Un fattore che potrebbe renderlo ulteriormente impopolare. A tutto questo, si aggiunga infine un dato storico: Biden non ha mai mostrato un’abilità elettorale fuori dal comune. Non dimentichiamo che, alle primarie democratiche del 1988 e del 2008, ha infatti già trovato la sconfitta.

Insomma, l’ex vicepresidente avrà non pochi problemi a farsi spazio all’interno di una competizione caotica come quella che si annuncia per la nomination del 2020. Le correnti centriste sembrano sempre più isolate. E Biden potrebbe pagarne le conseguenze. Anche perché il senatore socialista Bernie Sanders potrebbe seriamente dargli del filo da torcere nello scontro per la conquista del voto operaio. Inoltre, anche qualora riuscisse ad emergere alle primarie, non è affatto detto che l’ex vicepresidente possa rivelarsi capace di scalzare Donald Trump in sede di General Election. Il presidente americano sta infatti puntando a un posizionamento politico particolarmente trasversale che, pur isolando il radicalismo della sinistra dem, sta contemporaneamente evitando di schiacciarsi su posizioni troppo decisamente repubblicane. In un simile quadro, Biden faticherà non poco a trovare una collocazione efficace. Anche perché – al momento – non è chiaro quante speranze possa effettivamente nutrire di accattivarsi qualcuna delle quote elettorali dirimenti per conquistare la Casa Bianca: dagli operai alle minoranze etniche, passando per la destra religiosa. Il rischio, per Biden, è quello di incarnare un’idea di America che ormai non esiste più: un passato idealizzato, fondamentalmente annientato dal tritacarne del presente. Un candidato antistorico insomma (come John McCain nel 2008, Mitt Romney nel 2012 e Hillary Clinton nel 2016). Il sentiero dell’ex senatore risulta quindi particolarmente tortuoso. E la vittoria sarà molto difficile da raggiungere.

Biden rischia di incarnare un'idea di America che non esiste più

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