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Obiettivo: includere la Cina in un nuovo accordo sul disarmo nucleare. È il punto di incontro possibile tra Stati Uniti e Russia sul delicato dossier missilistico, ormai a un punto di svolta dopo il superamento del trattato Inf che, dal 1987, disciplinava i rapporti tra le due superpotenze. Domani, a Ginevra, i rappresentanti di Washington e Mosca si ritroveranno per discutere sulla possibilità di giungere a un nuovo accordo. Le distanze per la sopravvivenza dell’Inf sembrano incolmabili, ma la prospettiva di vincolare anche Pechino, da tempo attiva sulle tecnologie missilistiche e forse più avanti di entrambi, potrebbe essere il giusto punto di convergenza.

LA SPINTA DI TRUMP

Da tempo si notava come gli Stati Uniti di Donald Trump avessero accettato non proprio a malincuore l’uscita dall’Inf, viste le tante voci che nelle istituzioni americane invocavano con urgenza sforzi più consistenti sul campo dei missili. Ora, tale elemento potrebbe rappresentare un utile punto di contatto con i russi. Non a caso, al G20 di Osaka, hanno raccontato ai media d’oltreoceano alcuni funzionari Usa, il presidente americano aveva discusso la possibilità di lavorare a un nuovo accordo con l’omologo russo Vladimir Putin, esprimendo l’ambizione per un trattato a tre con il presidente cinese Xi Jinping. Ancora prima, via Twitter, Trump aveva spiegato di volere un accordo sulle armi di “prossima generazione” con Mosca e Pechino per coprire tutti i tipi di arma nucleare.

L’INCONTRO A GINEVRA

Su questo si troveranno a lavorare l’uno di fronte all’altro il vice segretario di Stato Usa John Sullivan e il vice ministro degli esteri russo Sergei Ryabkov che, secondo quanto riportato dal New York Times, guideranno le due delegazioni al vertice di Ginevra. Per gli americani, ci sarà anche Tim Morrison, rappresentante del National security council della Casa Bianca, accompagnato in Svizzera da altri rappresentanti del Pentagono, dello Stato maggiore congiunto e della National security agency. Un appuntamento delicato, che arriva dopo le settimane calde delle nuove accuse e contro-accuse sul tema della corsa al riarmo e del trattato missilistico.

IL SUPERAMENTO DEL TRATTATO INF

A inizio luglio, l’ultima riunione del Consiglio Nato-Russia aveva portato il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg a certificare l’assenza di “segnali di miglioramento” circa le divergenze sul dossier, invitando tutti a “prepararsi per un mondo senza il trattato Inf”. Prima dello scadere dell’ultimatum semestrale lanciato a febbraio dal segretario di Stato Mike Pompeo, il presidente Vladimir Putin ha predisposto l’uscita della Russia già da qualche settimana. L’accordo siglato nel 1987 da Mosca e Washington era finalizzato a contenere la proliferazione di armi nucleari a medio raggio, ossia quelle con una gittata tra i 500 e i 5.500 chilometri e in grado di essere lanciati da terra.

LE ACCUSE

Negli ultimi anni, le accuse di reciproche violazioni sono arrivate a più riprese da entrambe le parti. Per l’Occidente il problema riguarda il dispiegamento dei missili SSC-8 che invece, secondo i russi, sarebbero oltre i limiti previsti dall’accordo. Da parte sua, Mosca se l’è presa spesso con il sistema di difesa missilistica Aegis Ashore dispiegato dagli Usa in Romania e in futuro anche in Polonia. Secondo i russi, oltre ai tradizionali intercettori, il sistema sarebbe in grado di lanciare anche i Tomahawk, armamenti della stessa categoria di quelli proibiti nel trattato del 1987. Eppure, da subito, le reciproche accuse, così come l’uscita di entrambi i Paesi dall’Inf, erano apparse ben più ampie del semplice confronto a due.

TIMORI BEN NOTI

A preoccupare, sembra ora evidente, è il Dragone cinese. Non a caso, già a dicembre, prima che scoppiasse la crisi dell’Inf, il Washington Post aveva reso noto un memorandum interno con cui il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton chiedeva al Pentagono di “sviluppare e dispiegare missili da terra il prima possibile”. Per molti alti funzionari americani, il fatto che Pechino non era tenuto a rispettare il trattato Inf avrebbe concesso ai cinesi un certo vantaggio nel campo dei missili intermedi con dispiegamento a terra. Vantaggio che gli Usa non vogliono concedere, considerando anche il leggero ritardo (denunciato da diverse voci all’interno dell’amministrazione e del Congresso) accumulato sulla missilistica ipersonica. A conferma di tale tesi ci sono le stesse parole che Donald Trump ha usato a febbraio per minacciare l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo, attribuendone la responsabilità all’assertività sul fronte missilistico di “Russia e Cina”, fatto che allora risultava anomalo, considerando che l’accordo non vincolava Pechino.

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