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Cominciamo dai fatti, che ci vengono ricordati oggi su La Stampa in due ben informati articoli di Paolo Mastrolilli e Ilario Lombardo. Siamo al 2 aprile, giorno in cui si svolge a Roma un convegno organizzato dall’Italian American Pharmaceutical Group, vale a dire la rappresentanza delle Big Pharma americane in Italia (8 miliardi di fatturato e 13.000 dipendenti), con relatori previsti (tra gli altri) l’ambasciatore Usa Eisenberg e i ministri Di Maio e Grillo. Accade però che l’ambasciatore si presenta regolarmente, mentre i due ministri all’ultimo momento scelgono di non arrivare, preferendo altri impegni concomitanti. Segnale chiarissimo dunque, segnale di presa di distanze da un mondo che metà governo (lato Cinque Stelle) considera quantomeno avversario, forse addirittura nemico.

Ora qui bisogna avere il coraggio di parlare chiaro e bisogna farlo con massima onestà intellettuale. Punto primo: possiamo noi rubricare le Big Pharma ad organizzazioni umanitarie volte a curare i pazienti in nome del giuramento di Ippocrate e null’altro? No, mille volte no. Le Big Pharma sono micidiali macchine da soldi, sono imprese che giocano la sfida globale sui mercati dei cinque continenti con tutta la durezza del caso. Però esse sono anche i luoghi in cui si investono miliardi per la ricerca, sono aziende che danno lavoro a centinaia di migliaia di persone in giro per il mondo, sono parte essenziale del presente e del futuro della medicina e, quindi, della nostra vita. Insomma le Big Pharma sono roba seria, nei cui confronti non si può agire con superficialità.

Punto secondo: le Big Pharma sono un pezzo molto rilevante del sistema economico ma anche politico (e quindi istituzionale) degli Stati Uniti, al punto che le scelte dei governi in giro per il mondo verso di loro (quindi anche quelle del governo italiano) diventano immediatamente motivo di pace o guerra tra le amministrazioni (White House e Palazzo Chigi).

Punto terzo: in politica estera tutto si tiene, perché i compartimenti stagni non esistono. Quindi se l’Italia infila (in rapida sequenza) uno schiaffo a Washington sul Venezuela (nessun governo europeo è così freddo su Guaidó come il nostro), una pasticciata gestione del dossier F35 (con annessi mancati o ritardati pagamenti da parte nostra), un patto politico con la Cina (che nessun membro del G7 si sogna di stringere) e, infine, una umiliazione alle Big Pharma (alla presenza dell’ambasciatore Usa), ecco che allora siamo di fronte ad una scelta di campo ben precisa, cioè litigare con gli americani. Scelta legittima, per carità, ma non per questo priva di conseguenze.

Torniamo un momento alle Big Pharma. Sappiamo che il ministro Grillo vuole lottare per contenere la spesa farmaceutica anche facendo qualche dispiacere alle imprese del settore. Non solo lo sappiamo, ma diciamo anche che (per un verso) il ministro ha ragione, perché non sempre le aziende sanno guardare oltre il proprio interesse. Però è altrettanto evidente che prenderle a mazzate in modo sistematico non paga, per il semplice fatto che poi queste imprese finiscono per spostare stabilimenti e centri di ricerca all’estero, impoverendo innanzitutto l’Italia.

Quindi occorre ragionare con equilibrio, rispetto, lungimiranza. Il dramma dell’Italia è la sua inesistente crescita economica. Litigare a morte con i giganti del business può servire a raccogliere qualche voto all’impronta, ma genera disastri che poi richiedono anni o decenni per essere recuperati.

Non facciamoci del male (più di quanto abbiamo già fatto).

L’Italia e gli Usa (vedi alla voce Big Pharma)

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