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Da giovedì la settimana di incontri per trovare un accordo sul commercio tra funzionari cinesi e statunitensi, che iniziano oggi nella capitale cinese con il lavoro preparatorio delle seconde linee, entrerà nel vivo, con la partecipazione dei titolari dei due paesi. L’obbiettivo di Washington è trovare almeno il modo di convincere Pechino su un riforma profonda riguardo al trattamento delle proprietà intellettuale. Faccenda per cui gli Stati Uniti accusano la Cina di essere troppo lasca – o meglio, di favorire, anche attraverso operazioni di spionaggio, furti di dati sensibili come aiutini statali per i propri settori di ricerca e sviluppo.

Le riunioni di questa settimana seguono un programma ampio: a inizio gennaio i negoziatori dei due Paesi si sono visti in Cina. Incontri di livelli intermedio seguiti poi, dopo una dozzina di giorni, da meeting di ordine superiore a Washington. Ora si torna a Pechino, forti di un risultato progressivamente più incoraggiante che ha permesso l’attivazione via via dei vari step in agenda.

Un funzionario della Casa Bianca ha spiegato (in forma anonima) al New York Times che tuttavia gli americani intendono aumentare le pressioni sul governo cinese per spingerlo verso riforme strutturali. E questo pressing ha un ultimatum temporale: infatti, secondo quanto concesso dal presidente americano Donald Trump, dopo il suo incontro con l’omologo Xi Jinping a latere dell’ultimo G20, il 2 marzo, se non si sarà trovata una qualche forma di accordo, gli Stati Uniti aumenteranno al 25 per cento le tariffe commerciale su un set da 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi importati (l’ultimatum è un punto cruciale per i mercati globali, in stand by davanti alla nuvola di incertezza che avvolge l’esito dei negoziati, che se dovessero fallire creerebbero uno scombussolamento generale, che non colpirà solo l’economia americana e cinese).

Nel fine settimana, dopo che il vice rappresentante commerciale statunitense, Jeffrey Gerrish, avrà preparato il terreno, sarà il turno dei pezzi grossi: a Pechino arriveranno il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, e il rappresentante del Commercio statunitense, Robert Lighthizer. I due hanno posizioni diverse sul dossier: Mnuchin è più disponibile, Lighthizer è un sostenitore della linea dura con la quale pressare la Cina verso riforme più importanti attraverso le quali impedire le pratiche commerciali scorrette di Pechino, incluso il furto di proprietà intellettuale, appunto, e le imposizioni verso le società statunitensi a condividere la propria tecnologia con le imprese cinesi nei casi di cooperazione.

Il governo del Dragone ha più volte negato certi comportamenti, e ieri, in una dichiarazione ufficiale il ministero del Commercio ha detto che i due paesi affronteranno una “ulteriore approfondita discussione su questioni di reciproca preoccupazione”. Niente accuse unilaterali, insomma. L’ambasciatore cinese negli Stati Uniti, Cui Tiankaiha detto venerdì in Michigan che una mentalità da “gioco a somma zero” è stata distruttiva per i legami tra Cina e Stati Uniti. La Cina prova a cercare l’armonia attraverso l’inviato: “La vera storia nel mondo degli affari (tra Usa e Cina) non è quella in bianco e nero”, ha sottolineato Cui.

La scorsa settimana il presidente Trump ha parlato lateralmente delle trattative. Ha detto che non ha intenzione di incontrare nuovamente Xi prima della chiusura di un accordo, riferendosi alla possibilità di un faccia a faccia nei giorni in cui lui avrebbe visto il satrapo nordcoreano Kim Jong-un in Vietnam. L’incontro è fissato per il 27 e 28 febbraio, ossia i giorni appena precedenti alla scadenza imposta sui dazi. Non è da escludere che dietro quella dichiarazione possa esserci un messaggio: il dossier nordcoreano può essere un punto di contatto tra Cina e Stati Uniti e smuovere dinamiche non direttamente collegate.

Ieri, il giornalista più informato sui dossier interni all’amministrazione Trump, Jonathan Swan, ha parlato della possibilità di un incontro Trump-Xi a Mar-a-Lago, il buen retiro in Florida del presidente americano. Trump potrebbe ospitare nel suo resort di Palm Beach il cinese “a metà marzo”, dicono discretamente alcuni funzionari a Swan, “ma ancora non è stato stabilito nulla” e ci sono in ballo altri luoghi e situazioni. Quello che è sicuro che questa o la prossima settimana (e comunque prima della scadenza d’inizio di marzo) Trump parlerà telefonicamente con Xi.

Oggi, intanto, il presidente americano firmerà un ordine esecutivo per rafforzare la posizione degli Stati Uniti nel campo dell’intelligenza artificiale (l’Ai, che è uno dei temi chiave del confronto globale con la Cina, come il 5G e il furto di proprietà intellettuale di cui si è parlato). Si chiama “American Ai Initiative” e, secondo Axios che ha visto in anticipo alcuni contenuti del documento non ancora pubblico, sarà una risposta all’inarrestabile spinta di Pechino a finanziare la ricerca cinese sull’intelligenza artificiale, a incoraggiarne la sua implementazione e a esportarne strumenti. Una fonte del sito dice chiaramente che l’obiettivo è “assicurare la continuità della leadership dell’America nell’Ai, che include la garanzia che le tecnologie di Ai riflettano i valori, le politiche e le priorità americane”.

Sempre oggi, il Senate Small business Committeee, presieduto dal senatore repubblicano della Florida, Marco Rubio, pubblicherà un rapporto che metterà nero su bianco le sfide che le ditte americana si trovano ad affrontare vista “la campagna cinese di spionaggio industriale e coercizione”. Su tutto pesa anche la presenza di una linea di falchi bipartisan che dal Congresso sta spingendo perché Trump non allenti la posizione contro la Cina.

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