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Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha sospeso per 30 giorni l’imposizione di tariffe del 25% su Canada e Messico, evitando uno scontro commerciale con i due alleati americani del sistema Usmca, braccio di ferro che il Canada aveva controbilanciato annunciando dazi su Tesla, società di punta del conglomerato che risponde a Elon Musk — il magnate parte del sistema amministrativo trumpiano.

Dopo telefonate con i rispettivi leader, Trump ha raggiunto accordi che prevedono consistenti rinforzi alla sicurezza delle frontiere, controllo dei flussi migratori e lotta al traffico di fentanyl. Sono questi d’altronde gli obiettivi diretti dell’americano, che sfrutta la visione di politica estera transazionale — che caratterizzerà questa sua seconda presidenza — per ottenere maggiori impegni da alleati, partner e rivali, al fine di seguire l’interesse “America First”.

Se con Messico e Canada si è arrivato a un compromesso (che probabilmente tra trenta giorni sarà in qualche modo rinnovato), sono invece entrate in vigore tariffe del 10% sulle importazioni cinesi, a cui Pechino ha risposto con contro-tariffe su energia e macchinari. I mercati hanno reagito negativamente, ma si sono parzialmente stabilizzati con la notizia degli accordi.

Come ha spiegato a 60 minutes da Robert Lighthizer, “la Cina è una minaccia esistenziale per gli Stati Uniti. È un avversario molto, molto competente. La Cina si considera il numero uno al mondo e vuole esserlo. Ci vede come un ostacolo”. Non è chiaro quanto la percezione personale dello U.S. Trade Representative del primo mandato trumpiano sia ancora quella dominante nel Trump 2.0. Potrebbe addirittura esserci un “reset”, ma intanto l’amministrazione si è mossa.

In attesa di un possibile mega-accordo tra Washington e Pechino, le prime misure restano in piedi e lo scontro commerciale innescato. Trump potrebbe anche voler costruire rapidamente un blocco tariffario per frenare le importazioni statunitensi di medicinali. Tale mossa potrebbe colpire duramente la Cina, poiché le esportazioni cinesi di prodotti farmaceutici negli Stati Uniti sono cresciute rapidamente negli ultimi anni. Tuttavia, una misura di questo tipo danneggerebbe anche i cittadini statunitensi, perché gli Usa si affidano alla Cina come fornitore di molti farmaci, tra cui trattamenti cardiovascolari e antibiotici.

C’è anche qui la questione dei precursori del fentanyl venduti dalla Cina, che finiscono anche in mano ai cartelli messicani, i quali li usano per prodotti di contrabbando del più devastante dei painkiller sul mercato americano (protagonista di un’epidemia di tossicodipendenze anche perché i medici lo hanno spesso somministrato con eccessiva leggerezza). “Il Partito Comunista Cinese potrebbe fermare le spedizioni di fentanyl se volesse. Non lo ha fatto. Il presidente Trump ha ragione a imporre loro dei costi”, dice l’ex segretario di Stato trumpiano Mike Pompeo.

In generale, la partita è complessa, con Trump che probabilmente gioca su una scacchiera tridimensionale, dove l’asse “z” è rappresentato dall’interesse americano di lungo termine — raggio di azione per cui spesso si accettano gli effetti, anche negativi, nel breve periodo, perché gestibili nell’ottica del consenso (e le tariffe non dispiacciono all’elettorato di Trump).

Agathe Demarais, Senior Policy Fellow presso l’European Council on Foreign Relations (Ecfr), spiega che l’attenzione iniziale di Trump su Canada e Messico, due partner statunitensi, potrebbe essere meno controintuitiva di quanto sembri: il presidente sapeva di poter ottenere rapide concessioni da queste economie, ad esempio proprio sui flussi migratori o sul traffico di fentanyl dal Messico, qualcosa che considererebbe una grande vittoria politica per il consenso interno negli Stati Uniti.

Demarais aggiunge che l’Ue sarà probabilmente il prossimo obiettivo di Trump per le tariffe, dato anche i disavanzi commerciali degli Stati Uniti con l’Ue, come con Canada e Messico, si sono ampliati dal 2016. “Non è chiaro cosa potrebbe offrire l’Ue a Trump per evitare l’imposizione di nuove tariffe”, dice l’esperta di geoeconomia del think tank paneuropeo. “Le speranze europee che le promesse di aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto (Lng) statunitense siano sufficienti sono irrealistiche”. Per Demarais, l’unico modo per Bruxelles di costringere le imprese energetiche europee a importare più Lng dagli Usa sarebbe vietare le importazioni di Lng russo, una prospettiva improbabile allo stato attuale. Tuttavia connessa a parte della strategia americana.

L’Unione europea cerca di agire compatta. Il Consiglio europeo informale ha discusso lunedì l’urgenza di evitare un’escalation commerciale, ma le divisioni tra i membri restano evidenti. Francia e Germania spingono per una risposta ferma, che salvaguardi i settori industriali strategici europei. L’Italia, tramite il lavoro politico-diplomatico di Giorgia Meloni, sta cercando un equilibrio tra il dialogo e la difesa dei propri interessi economici.

Roma punta a evitare reazioni scomposte, anche per questo Meloni starebbe cercando di organizzare un incontro tra la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e Donald Trump. L’idea è che collaborare con gli Stati Uniti sul fronte della sicurezza (anche energetica) e delle spese militari sia una via per non rinunciare alla tutela di settori chiave. L’Italia potrebbe assumere un ruolo di mediazione tra le diverse posizioni europee, promuovendo soluzioni diplomatiche per scongiurare lo scontro?

“È fondamentale avviare un nuovo dialogo transatlantico, disinnescando fin da subito le contese commerciali, e le notizie sulla cosiddetta ‘tregua’ che giungono da Messico, Canada e Panama ci indicano che ciò è possibile”, ha detto il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, durante il suo intervento sul futuro delle Relazioni Transatlantiche, al Consiglio informale congiunto Competitività e Commercio in corso a Varsavia. “Occorre muoversi in fretta, non limitarsi a reagire ma ad agire, con una visione strategica e non con misure tampone, con la politica e non con la burocrazia. Serve da subito un’azione tempestiva, con la velocità d’intervento che mostrano gli altri attori”, aggiunge Urso.

Con Trump servono azioni e non reazioni. Ecco perché

Demarais (Ecfr) spiega perché Trump ha usato la leva delle tariffe con Messico e Canada, ragionando su cosa potrebbe esserci in ballo con l’Ue. Per il ministro Urso, la “tregua” decisa con i due alleati nordamericani indica ciò che è possibile fare per l’Ue, che però deve “muoversi in fretta, non limitarsi a reagire ma ad agire, con una visione strategica e non con misure tampone, con la politica e non con la burocrazia”

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