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La Nato è viva e vegeta. Cambiano le tecnologie, le minacce e gli avversari cui far fronte, ma l’Alleanza atlantica rimane uno strumento indispensabile per la risoluzione delle crisi e la stabilità nel mondo. Questo il bilancio dei primi settant’anni dalla firma del Patto Atlantico di Alexander Vershbow. Diplomatico di lungo corso, già ambasciatore degli Stati Uniti in Russia e in Corea del Sud e nominato da Barack Obama prima vice-segretario della Difesa e poi nel 2012 vice-segretario generale della Nato, Verhsbow ha assistito da testimone privilegiato all’evoluzione dell’Alleanza. Il diplomatico, Distinguished fellow dell’Atlantic Council, spiega a Formiche.net perché oggi, mentre le sirene di Russia e Cina cercano di rompere la solidarietà atlantica, è tanto più necessario credere e investire nella Nato.

La Nato ha davanti a sé altri settant’anni?

Sono ancora molto ottimista sul futuro della Nato. L’Alleanza ha mostrato di sapersi adattare alla perfezione man mano che l’ambiente strategico si è evoluto. Con la fine della Guerra Fredda si è trasformata da organizzazione di contenimento della Russia a volano dell’integrazione europea. All’indomani dell’11 settembre 2001 la Nato ha assunto la nuova missione di combattere il terrorismo. Oggi la minaccia russa è tornata in cima all’agenda.

È questa la principale minaccia alla tenuta dell’Alleanza?

Se una minaccia esiste questa è anzitutto il minore supporto politico da parte degli Stati membri e in particolare degli Stati Uniti, il cui attuale presidente ha dato prova di non supportare la Nato come tanti altri nella sua amministrazione e al Congresso. Anche se, alla prova dei fatti, Trump abbaia ma non morde (ride, ndr).

Da due anni Trump rimbrotta gli alleati che non spendono abbastanza per il bilancio Nato.

Ha assolutamente ragione. Non è certo il primo presidente a lamentare una ineguale contribuzione al bilancio da parte degli Stati alleati. John Kennedy avanzava le stesse richieste negli anni‘60 e Robert Gates, segretario alla Difesa con Bush e Obama, fece un durissimo discorso a proposito quando lasciò il posto.

Perché è tanto importante quel 2%?

Semplice, perché nel 2014 gli alleati hanno promesso che avrebbero aumentato la spesa fino a raggiungere il target del 2% del Pil. Qualcuno ci è riuscito, molti altri, compresi Paesi grandi come Italia e Germania, potrebbero fare di più. La Russia ormai non è l’unico pericolo, la Nato deve far fronte alle minacce provenienti dall’Africa del Nord e dal Medio Oriente, non può farlo senza le risorse adeguate.

Lei crede che una Difesa comune europea tolga tempo e risorse alla Nato?

Non mi preoccupa tanto che una Difesa Europea possa indebolire la Nato, quanto piuttosto che possa produrre poco rispetto alle promesse. Gli esperimenti di questi anni come la Pesco o l’European Defence bond hanno confermato questi dubbi. Detto questo, nella gestione delle crisi e nell’addestramento militare l’Ue ha tutte le carte in regola per agire. È evidente dunque che non ha senso mettere in competizione i due piani.

Qual è oggi il pericolo più incombente per l’Alleanza atlantica?

L’aggressività della Russia sul fronte Est è ancora la minaccia più immediata. La Nato ha ricostruito efficacemente in questi anni il suo sistema di deterrenza convenzionale. Sta difendendo bene il suo territorio ma ancora deve fare molto per proteggere la sovranità di Paesi come Ucraina e Georgia. Sarebbe un errore considerare la campagna di influenza russa in quelle zone come una strategia legata al passato, è più attuale che mai. È cambiato il modus operandi dell’avversario, oggi la Nato deve fare i conti con una minaccia diversa, la cosiddetta guerra ibrida russa condotta a colpi di corruzione, disinformazione e interferenze cibernetiche.

Cosa si aspetta dalle elezioni presidenziali in Ucraina?

Finora il processo è stato trasparente, non si sono verificate grandi infrazioni o irregolarità, bisogna vigilare su possibili interferenze estere al secondo turno. Zelensky sembra il favorito, le persone lo votano perché è un volto televisivo, rimane qualche dubbio sull’adeguatezza della sua esperienza alle minacce che l’Ucraina dovrà affrontare nei prossimi anni.

La Cina di Xi Jinping è un avversario per la Nato al pari della Russia?

Lo è certamente. La Cina continua a crescere come potenza economica globale e sta lentamente riducendo il gap militare con gli Stati Uniti. La sua sfida all’ordine internazionale non è così diversa da quella della Russia, differiscono i mezzi. I cinesi usano l’economia per costruire influenza politica alle porte della Nato. I Paesi Nato dovrebbero prestare più attenzione ai rischi per la sicurezza delle comunicazioni provenienti dalla gestione dei cinesi della rete 5G. Sarebbe utile stilare una strategia per competere con la Cina in Medio Oriente, nell’Asia Centrale e in Nord Africa per impedire ai cinesi di minare i nostri interessi.

In Europa i cinesi si stanno facendo strada, come ha dimostrato il tour di Xi in Italia. Perché questo preoccupa tanto gli Stati Uniti?

L’Italia non è stato il primo Paese europeo ad aderire alla Belt and Road Initiative, la Croazia ha avviato un imponente progetto infrastrutturale finanziato dei cinesi. L’errore non è investire bensì non coordinarsi con gli alleati per evitare di diventare a nostra insaputa dipendenti dalla Cina e di cadere nella trappola del debito. Oggi la Cina è in grado di dividerci, è il caso di metterci a tavolino prima che sia troppo tardi.

 

 

(Foto: Delfi)

È ancora la Russia la principale minaccia per la Nato. L'analisi di Alexander Vershbow

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