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Martedì mattina, Kamala Harris, rendendo ufficiale la nomina del suo candidato vicepresidente, ha sorpreso tutti. Sia fuori che all’interno del suo partito. Qualsiasi cosa, infatti, faceva pensare che tra i tre candidati democratici per correre alla vicepresidenza (Walz, Shapiro e il senatore dell’Arizona Mark Kelly) avrebbe prevalso il governatore della Pennsylvania, centrista, molto più conosciuto e con un alto indice di approvazione in quello Stato decisivo per le elezioni noto come il Keystone State, con in palio ben 19 grandi elettori.

Invece, la candidata al 1600 di Pennsylvania Avenue ha optato per il governatore di uno Stato mai in bilico e storicamente in mano ai democratici, come il Minnesota (sebbene Donald Trump lo abbia messo nella lista dei suoi desideri) e per il nome meno quotato e meno conosciuto rispetto a Josh Shapiro, ma anche a Mark Kelly (il 71% degli americani non sa, infatti, chi sia Walz).

La nomina di Harris rappresenta, però, una scelta chiara, come fu quella di Trump con J.D. Vance: pieno ascolto della “base” del partito, quella più radicale. Come fece il tycoon, quando lo scorso 15 luglio scelse come suo delfino l’attuale senatore per l’Ohio e autore del best-seller “Hillbilly Elegy”, non puntando, invece, su un repubblicano classico (come il Governatore del Dakota del Nord, Doug Burgum, o il senatore per la Florida Marco Rubio) allontanandosi dalle radici storiche del Gop, e spingendosi verso un percorso ancora più “Make America great again” del primo mandato.

Sicuramente, Walz rispetto a Vance è un personaggio di secondo piano, ma come il running mate scelto da Trump parla all’America rurale, quella bianca del Mid-west, quella “rust belt” fantasticamente descritta nel memoir di Vance, un tempo zona cruciale per l’industria statunitense e oggi in totale declino. E proprio nel Midwest si concentreranno i primissimi impegni della coppia Harris-Walz. Ecco perché è stato considerato da diversi big del partito (in primis Nancy Pelosi, ma anche Hilary Clinton e i coniugi Obama) come l’antidoto progressista al candidato repubblicano alla vicepresidenza. Anche Biden, in poche parole, ha spiegato perché la scelta di Walz sia la migliore per sconfiggere Trump: “Tim è la voce potente per i lavoratori e la classe media”.

Ex membro della Guardia nazionale Walz, mentre Vance ex marine, ed entrambi non provenienti dall’élite. Fortissimo sostenitore dei diritti LGBTQ+ il democratico, per niente “arcobaleno” il senatore dell’Ohio.

Al tempo stesso, però, questa scelta, da una parte del partito è ritenuta particolarmente rischiosa, dal momento che uno dei principali limiti di Harris è l’essere considerata decisamente una radicale, e lo stesso Tim Walz, togliendo il fatto di esser uomo e bianco, incarna totalmente l’esempio di un esponente radicale di sinistra. Proprio su questo aspetto, Trump, da qui a novembre, punterà per attaccare sia Kamala Harris che ovviamente il suo vice. Accuse simili che si sono già registrate: Trump, infatti, appena resa pubblica la nomina di Walz, ha accusato il governatore del Minnesota di volerlo trasformare nel golden state, bollandolo, inoltre, come “radicale di sinistra”.

Walz, invece, già prima di essere scelto da Harris, si era pronunciato contro il ticket repubblicano, affermando che “Donald Trump ci riporterebbe sicuramente indietro”, e ripetendo la sua nota battuta virale sul fatto che Trump e Vance fossero “strani da morire”.

Vance, nel frattempo, si è detto pronto al dibattito. Ci aspetta una durissima campagna elettorale tra le due opposte anime dell’America.

Walz vs Vance, la sfida è (anche) sull'America rurale. L'analisi di Spartà

Di Francesco Spartà

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