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Il nuovo documento sulla governance farmaceutica approntato dal ministero dalla Salute guidato dal ministro Giulia Grillo non piace alle industrie farmaceutiche e non piace neanche ai medici. A essere contestato è il taglio di circa 2 miliardi di euro alla spesa farmaceutica al fine di rendere più sostenibile la spesa sanitaria nazionale ma che metterebbe a rischio un settore produttivo importante per l’economia italiana e un hub di ricerca ai vertici in Europa.

Altro punto controverso è l’introduzione del principio di equivalenza che impone lo stesso prezzo di rimborso per farmaci terapeuticamente equivalenti. Il rischio che si vede all’orizzonte è che i medici non possano più godere della “libertà prescrittiva”, quel principio secondo il quale è il medico a scegliere il farmaco più adatto al paziente. Oltre a questo le industrie farmaceutiche avrebbero un disincentivo rilevante nel pianificare futuri investimenti in ricerca ma anche nel portare a compimento i piani già in essere.

Se i rappresentanti industriali dei farmaceutici sono sul piede di guerra anche i medici fanno la loro parte. Lo Snami (Sindacato Autonomo Medici Italiani) ha commentato negativamente il nuovo documento ministeriale perché sottolinea che “Il concetto di equivalenza terapeutica “reale” – ha detto il presidente nazionale dello Snami, Angelo Testa – non trova alcun riscontro nella letteratura scientifica internazionale”. Il rischio, dunque, sarebbe per i pazienti e soprattutto quelli di regioni con bilanci meno floridi che avrebbero la possibilità di “imporre” farmaci meno costosi ma che potrebbero non essere i migliori per curare le patologie dei pazienti perché “non esiste equivalenza terapeutica certa per medicinali contenenti principi attivi diversi, ma solo caratteristiche similari”, continua Testa.

Ma, stante che la spesa sanitaria italiana è una pesantissima voce di Pil, qual è il modo più indolore per ridurla a partire dal rimodulamento della spesa sanitaria?

IL MODELLO TPP: VALUTAZIONE, RICOMPENSA, DIFFUSIONE

Alcune risposte arrivano dai ricercatori statunitensi Dana P. Goldman, University of Southern California, Karen Van Nuys, University of Southern California, Wei-Han Cheng, University of Southern California, Jakub P. Hlávka, University of  SouthernCalifornia, Luca Pani, Università di Miami, Sylvain Chassang, New York University e Erik Snowberg, tra le altre cose professore di scienze economiche e politiche, divisione di scienze umane e sociali alla California Institute of Technology.

Una soluzione potrebbe essere la “tariffazione farmaceutica basata sul valore” che assegna a ciascun farmaco un valore, e dunque un prezzo, che dipende dalla sua efficacia. Questo metodo, però, espone ad alcuni rischi. Il primo è che produttori e pagatori potrebbero non essere d’accordo sull’efficacia di un nuovo farmaco. Se le prove sperimentali cliniche forniscono un utile indicatore dell’efficacia di un farmaco al momento del lancio, solo gli studi a posteriori, sui pazienti, possono fornire informazioni sull’efficacia a lungo termine di un nuovo farmaco. Tuttavia reperire questi dati è da una parte molto oneroso in termini economici, dall’altro richiederebbe tempi lunghi per garantire ed ottenere risultati scientificamente spendibili. Inoltre sarebbe impraticabile per farmaci sperimentali, perché manchevoli di un benchmark di riferimento.

Un’altra soluzione propone di legare i prezzi sempre al valore dei farmaci ma senza la necessità di monitorare l’efficacia in ogni paziente. Questo è un approccio in tre parti (Tpp) che crea un sistema a livelli: i prezzi variano su intervalli di tempo fissi. In fase di lancio i produttori presenterebbero sul mercato un farmaco a un prezzo con la garanzia di poterlo aumentare una volta attestata l’efficacia. Questo meccanismo riduce l’incentivo, per il produttore, a presentare il prodotto al prezzo più alto possibile e il pagatore (lo Stato) non dovrebbe sviluppare politiche restrittive per limitare l’accesso al mercato. Una diffusione capillare del farmaco consentirebbe di testarne l’efficacia in maniera rapida. In un secondo momento, il prezzo del farmaco sarebbe stabilito secondo logiche di mercato: i prodotti con un rendimento migliore hanno prezzi significativamente più alti, abbastanza da premiare i ricercatori e gli imprenditori per gli investimenti economici e di studio. In un terzo, e ultimo periodo, il prezzo del farmaco dovrebbe scendere per rendere il prodotto attraente anche nel lungo periodo. Sintetizzando il meccanismo prevede una primo fase della valutazione, una seconda della ricompensa e una terza della diffusione.

Secondo gli studiosi questo meccanismo di controllo dei prezzi porterebbe benefici a tutta la società: la raccolta di informazioni per gli studi ex post sarebbero più corpose, si accumulerebbero più velocemente e, di conseguenza, i prezzi reagirebbero alle nuove informazioni. Il profitto dei produttori aumentano se le medicine proposte si dimostrano efficaci mente i compratori risparmiamo se l’efficacia è al di sotto delle aspettative. Un rischio, connesso a questo sistema che prevede accordi di lungo periodo, emerge nel caso in cui sul mercato fosse presentato un prodotto migliore. In tale caso le convenienze per i produttori calerebbero drasticamente. La complessità di tali implicazioni del modello in tre fasi richiedono stringenti accordi contrattuali per non depotenziare di efficacia il meccanismo. In ogni caso gli studiosi hanno gettato sul tavolo della discussione una proposta interessante sulla quale si potrebbe riflettere anche a riguardo del Sistema Sanitario Nazionale italiano.

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