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Può un partito che ha ottenuto il 34% dei voti e che ha esattamente doppiato gli alleati di governo non esprimere il presidente del Consiglio? La domanda è semplice e probabilmente, in altre epoche storiche, sarebbe stato quasi superfluo porla tanto sarebbe stata scontata la risposta. Beninteso, stavolta non è detto che sia così: anzi, il trionfatore di questa nottata elettorale, Matteo Salvini, ha immediatamente smentito, almeno a parole, di volere un rimpasto e confermato la fiducia a Giuseppe Conte. Ma il tema si pone. Eccome se si pone. Non solo nell’ottica di un rimaneggiamento della squadra di ministri e sottosegretari – se il governo andrà avanti, è praticamente scontato che qualcosa, o forse di più, possa cambiare da questo punto di vista – ma soprattutto a Palazzo Chigi. Dove il ruolo di Conte è destinato, inevitabilmente, a cambiare, a farsi ancora più sottile. Sempreché l’attuale premier – che nelle ultime settimane aveva fortemente accentuato la sua vicinanza al MoVimento 5 Stelle – rimanga al suo posto. Perché in fondo, diciamolo chiaramente, non ci sarebbe nulla di strano se la Lega rivendicasse per sé la guida dell’esecutivo. Se non per Salvini – che pure potrebbe legittimamente aspirare alla poltrona più importante – almeno per qualcuno vicinissimo al leader leghista. Ad esempio Giancarlo Giorgetti – che non a caso, nella settimana precedente il voto, era stato il più critico nei confronti degli alleati – tanto da arrivare ad affermare testualmente “così non si può andare avanti“. Anche se c’è chi lo vorrebbe a Bruxelles come commissario europeo. Una figura, quest’ultima, che ovviamente, dopo il voto di stanotte, toccherà alla Lega esprimere.

IL CROLLO DEL M5S

D’altronde, l’Italia del 4 marzo 2018 non esiste più, cancellata da quella del 26 maggio 2019 che ha scelto in massa Salvini e deciso di voltare le spalle a Luigi Di Maio e ai cinquestelle. I cui consensi sono crollati come non era mai accaduto prima. Il sentiero per i pentastellati si è fatto strettissimo: il pericolo di essere del tutto fagocitati dalla Lega è più che mai dietro l’angolo ma tornare alle urne sarebbe, se possibile, uno scenario ancora peggiore, visto il crollo di ieri. Non a caso, i rari commenti arrivati in questa nottata di silenzio assordante in casa cinquestelle hanno avuto un unico refrain. “Il governo va avanti“, hanno affermato i pochi temerari tra i pentastellati che hanno provato ad avviare un’analisi del voto. Stesso messaggio inviato a reti unificate pure da Salvini e dai suoi che però si preparano ad andare all’incasso. Ad alzare la posta. Sull’agenda politica del governo e, con ogni probabilità, pure sulla sua composizione. Anzi, lo hanno già fatto fin da ieri sera, quando si è capito che la Lega avrebbe stravinto. “Andiamo avanti ma bisogna accelerare“, ha affermato subito il vicepremier e ministro dell’Interno, ormai autentico premier virtuale della maggioranza. Che poi ha snocciolato le sue priorità: flat tax, autonomia, infrastrutture, giustizia e sicurezza solo per citare le principali.

DI MAIO DOVRA’ CEDERE LA GOLDEN SHARE

E già si capisce quanto impervia si sia fatta la strada di Di Maio che per rimanere al governo, ed evitare un ritorno alle urne che potrebbe essere disastroso per i cinquestelle, dovrà inevitabilmente cedere la golden share del governo a Salvini. E far passare in consiglio dei ministri tutto o quasi tutto ciò che arriva dalla Lega, pure i provvedimenti più indigesti e le scelte più contestate dalla base pentastellata come ad esempio il Tav. E come reagiranno i gruppi parlamentari del movimento, specie al Senato dove i numeri sono molto più esigui? Si adegueranno al nuovo corso oppure metteranno in discussione la leadership di Di Maio e l’alleanza di governo? Al momento tutto lascia presagire che per ora si andrà avanti, anche se è presto per fare valutazioni di medio termine. Di sicuro Salvini, come ha già lasciato intendere, al primo no che riceverà in Consiglio dei Ministri potrà contrapporre gli oltre 9 milioni di voti ottenuti stanotte. E il quasi 50% totalizzato dal centrodestra nel suo complesso. A dire, chiaramente, che se i cinquestelle vogliono andare avanti ed evitare il ritorno anticipato al voto dovranno farlo alle condizioni del leader leghista.

Comunque vada, nasce il governo Salvini (e Di Maio dovrà ingoiare anche la Tav)

Può un partito che ha ottenuto il 34% dei voti e che ha esattamente doppiato gli alleati di governo non esprimere il presidente del Consiglio? La domanda è semplice e probabilmente, in altre epoche storiche, sarebbe stato quasi superfluo porla tanto sarebbe stata scontata la risposta. Beninteso, stavolta non è detto che sia così: anzi, il trionfatore di questa nottata…

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