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Oggi sono scesi in piazza “Quelli del sì”. I piccoli e medi imprenditori, artigiani e commercianti che si sono ritrovati sotto le bandiere di Confartigianato, manifestando per chiedere al governo di spingere l’acceleratore della crescita e di varare una manovra volta allo sviluppo. “Sì a efficaci collegamenti nazionali e internazionali, alle grandi opere strategiche per far viaggiare le persone e le merci” – recitavano gli slogan della manifestazione – “Sì a reti e connessioni per il trasferimento dei dati e della conoscenza. Sì anche ad una Pubblica amministrazione che funzioni e sia attenta alle esigenze dei cittadini. Sì all’Europa con l’euro moneta comune”. Una posizione netta che ha visto ritrovarsi negli spazi del MiCo, Milano Conference Center, più di 1500 piccoli imprenditori provenienti da ogni parte d’Italia. Questa è la prima manifestazione che preoccupa il governo gialloverde, soprattutto nella sua componente leghista perché storicamente i piccoli e medi imprenditori del triveneto sono stati un bacino elettorale importante per la Lega.

Delle ragioni della manifestazione abbiamo parlato con Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato.

Quali sono le ragioni che vi hanno portato a scendere in piazza?

Per dare una forte sollecitazione al governo affinché eviti di mettere in campo politiche che risultino di freno alle imprese, in un momento nel quale c’è, invece, il massimo sforzo da parte delle imprese perché i rallentamenti dell’economia internazionale non pesino su una ripresa che già è stata più fragile che nel resto d’Europa. Questa è la molla che ha mosso Confartigianato proprio perché fosse inequivocabile che noi non possiamo rallentare in questa corsa a riprendere le posizioni che avevamo prima del 2008.

Crede che questa manovra freni la crescita economica?

Il difetto più grave della manovra economica, che noi abbiamo individuato sin da subito, è che punta troppo poco sugli investimenti. Noi siamo con il governo nello sforzo di spingere verso la crescita quindi non c’è nessuna nostalgia per l’austerità. Però una manovra di sviluppo deve essere fatta da interventi per gli investimenti. Per gli investimenti si può fare una manovra a debito, per la spesa corrente sarebbe una follia. Noi siamo convinti che se si investe si produce maggiore reddito, si fanno circolare i quattrini e ci possono essere spazi per assistere chi è rimasto più indietro.

Secondo lei quali sono gli interventi più importanti che il governo dovrebbe portare a casa?

Le opere infrastrutturali. Più complessivamente diciamo gli interventi per lo sviluppo, quindi anche le opere infrastrutturali di minore dimensione. Molto positivo è il finanziamento di circa 3 miliardi che consente agli enti locali che hanno le finanze in ordine di fare interventi di piccola manutenzione. Per questo diciamo “bene” ma dovrebbe essere maggiore la quota di risorse allocata in quella direzione. Bollino rosso, invece, sul codice degli appalti, c’è necessità di una modifica urgentissima.

Il governo ha promesso una revisione importante proprio del Codice degli  appalti. Allo stesso modo sono in calendario la deducibilità dell’Imu, l’abolizione del Sistri e la revisione delle tariffe Inail. Tutto questo non basta?

Questi interventi vanno assolutamente in una direzione positiva. Però anche il superammortamento, già previsto in “Impresa 4.0”, deve rientrare nelle previsioni della manovra nella sua versione definitiva perché questa è la parte che stimola gli investimenti privati. Bene che la riduzione del costo del lavoro avvenga attraverso la rimodulazione delle tariffe Inail. Il pacchetto “Impresa 4.0” deve essere confermato, così come le detrazioni consentite per edilizia, ristrutturazioni e efficientamento energetico perché vanno nella direzione degli investimenti. Se questo Paese fa una manovra in deficit deve farlo solo se agevola investimenti che ritornano in forma di crescita economica.

In materia di politica fiscale quali sono le istanze delle piccole e medie imprese?

Sulla politica fiscale dobbiamo rientrare in un riallineamento con il resto d’Europa dal quale siamo usciti dal 2011. Noi abbiamo un carico fiscale che sta sopra, abbondantemente, la media dei Paesi dell’Eurozona con i quali competiamo e il carico fiscale diventa un fattore decisivo. I miracoli che imprese grandi, medie e piccole hanno fatto è tornare competitive nonostante un carico fiscale superiore rispetto agli altri Paesi dall’Eurozona. Occorre iniziare dalla riduzione delle tasse per le imprese più piccole, con quella che viene chiamata forse impropriamente flat tax. Poi vanno rapidamente applicate a tutte le imprese.

Si ci fossero importanti tagli al peso fiscale crede che potrebbe ripartire l’occupazione?

Ogni piccola leva produce grandi effetti, in positivo ma anche in negativo. Come indirizzo di fondo sosteniamo la necessità che vada agevolato l’inserimento stabile nel mondo del lavoro attraverso forme, come l’apprendistato, che investono sull’aumento delle competenze. Il lavoro di domani ha bisogno di acquisizione di competenze nella fase iniziale dell’impiego e poi in tutto il corso della vita lavorativa. Questo si fa non con i mordi e fuggi, con i cambiamenti continui e di breve periodo ma con riforme di lungo periodo. Tornando alle politiche del lavoro noi speriamo che non si faccia più nulla nella direzione del decreto cosiddetto dignità che è andato a toccare una partita di cui nessuno sentiva l’esigenza di revisione: né le imprese, né i lavoratori. I decreti Poletti avevano finalmente normato in maniera stabile una materia che era rimasta troppo tempo controversa. Il “decreto dignità” è stato un fulmine a ciel sereno che ha prodotto cambiamenti in negativo che si stanno sentendo anche come effetti occupazionali.

Il decreto dignità porta con sé l’introduzione del reddito di cittadinanza. Dietro questo provvedimento c’è l’idea che nel futuro ci sarà sempre meno lavoro e sarà sempre più specializzato. Crede sia uno scenario plausibile?

È vero che osservatori di lungo periodo affermano che tutti i guadagni di produttività non hanno riverberi positivi sulla qualità della vita o sulla diminuzione delle ore di lavoro. Negli ultimi 150 anni l’orario quotidiano di lavoro si è ridotto solo in minima parte. Io credo che momenti di cambiamento, come quello che viviamo con l’avvio rivoluzione digitale, avranno bisogno di assestamenti. Molti mestieri scompariranno nel prossimo futuro? Io credo che si facciano delle divinazioni se si pensa di individuarli oggi. Al momento sappiamo solo che il lavoro digitale innalzerà la qualità del lavoro.

Arriviamo da alcuni anni in cui si è pensato che la gig economy potesse essere una strada risolutiva per lo stallo del mercato del lavoro italiano. In realtà ha prodotto solo lavoretti che non riescono a sostenere un lavoratore nella sua crescita umana e professionale.

Noi non siamo mai stati tra i cantori della gig economy e qualcuno ci ha anche detto che eravamo passatisti. Crediamo che abbia uno straordinario futuro il lavoro fatto da competenze che si accrescono anche attraverso la formazione aziendale. Quindi tutt’altro che gig economy. Noi abbiamo apprendisti che hanno bisogno di anni di formazione, non giorni.

Guardiamo agli aspetti più politici. Questa manifestazione arriva dopo l’incontro con il ministero del Lavoro Luigi Di Maio e il ministero dell’Interno Matteo Salvini. Non sono stati sufficienti?

Noi abbiamo deciso la mobilitazione un mese fa. Poi abbiamo partecipato alla manifestazione di Torino per dire sì alla Tav e alle infrastrutture. Oggi noi ci ritroviamo anche per dire altri sì, per dire sì all’Europa e all’euro senza timidezze e chiediamo che non vengano più messi in discussione perché l’economia ha bisogno di certezza. Gli incontri con i vicepremier li consideriamo positivamente, come prime risposte ai nostri appelli che saranno completati con l’iniziativa di a Milano.

I piccoli e medi imprenditori del nord est sono stati da sempre un bacino elettorale importantissimo per la Lega. Con l’allargamento al resto d’Italia la Lega sta rischiando di perdere contatto con la sua base storica.

Facciamo che non le rispondo direttamente alla domanda. Le dico, però, che la nostra base, la base dell’artigiano italiano e della piccola impresa è fortemente presente nelle aree della Lombardia, del Veneto, del Piemonte e di tutto l’asse padano. Se una forza associativa di 500mila imprese, collocate geograficamente in queste aree lancia questi appelli, chi deve trarre le conclusioni mi auguro che lo sappia fare.

Sarà presente qualche esponente politico alla manifestazione?

Sì ci saranno alcuni ospiti anche se non daremo la parola a nessuno perché a parlare sarà Confartigianato, noi lo facciamo per farci sentire, tutti quelli che vogliono venire a sentire sono benvenuti. Abbiamo già qualche conferma come quella di Maurizio Martina.

tria conte

Il governo punti su investimenti e infrastrutture. Parla Fumagalli (Confartigianato)

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