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Oggi un gruppo di alti funzionari della sicurezza nazionale statunitense farà il punto ai congressisti sulla crisi con l’Iran. Un briefing a porte chiuse, fortemente voluto dai legislatori dopo che da circa due settimane la situazione con Teheran è diventata tesissima: gli iraniani, secondo quanto sostiene un report d’intelligence dell’amministrazione Trump, avrebbero aumentato il livello di minaccia anti-Usa e starebbero per compiere, attraverso alcuni gruppi collegati nel Medio Oriente, attacchi contro gli interessi americani (dunque personale militare e funzionari diplomatici, asset economici e commerciali come quelli petroliferi).

IL RISCHIO GUERRA

La richiesta di capirci di più da parte del Congresso si lega anche alle circostanze a contorno: contemporaneamente ai movimenti militari con cui gli Stati Uniti hanno rafforzato la sicurezza in area Iran, ci sono stati alcuni episodi delicatissimi. Un sabotaggio di alcune navi davanti a un porto emiratino, un attacco drone contro pipeline saudite, un Katyusha sparato in direzione dell’ambasciata americana di Baghdad, due missili balistici lanciati contro l’Arabia Saudita dai ribelli Houthi dello Yemen. Tutte vicende ricollegabili a un responsabile: l’Iran, o meglio le milizie sciite anti-americane che Teheran mobilità nella regione per consolidare la sua sfera di influenza. Mentre i ribelli yemeniti hanno rivendicato i lanci, non ci sono ancora prove sui colpevoli per il resto, anche se ieri un funzionario americano ha detto anonimamente alla Associated Press che le indagini portano a Teheran. Sul lancio di un razzo Katyusha verso l’ambasciata americana di Baghdad, l’agenzia Nova ha rilanciato un quotidiano iracheno secondo cui il gesto sarebbe stato rivendicato da un gruppo qaedista, secondo questa ricostruzione si sarebbe trattato di una rappresaglia per la grazia concessa (a inizio maggio) dalla Casa Bianca a un militare accusato di aver ucciso a sangue freddo nel 2008 un prigioniero iracheno (un probabile jihadista di al Qaeda).

IL BRIEFING…

Per condurre le due riunioni speciali con Camera e Senato – in incontri separati (da cui è prevedibile ottenere qualche spifferata in serata, ndr) – sono stati scelti il segretario di Stato, Mike Pompeo (oggi ha detto che l’Iran potrebbe essere stato colpevole degli attacchi), il facente funzione di segretario alla Difesa, Patrick Shanahan (che ha parlato di “mettere in attesa” quella che definiva “una minaccia per gli americani”), il generale che comanda lo Stato maggiore congiunto, Joseph Dunford (che ha rinviato apposta un viaggio Nato), e un alto funzionario dell’intelligence di cui non è stato reso noto il nome. Non ci sarà, per quanto noto, John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale, organo di progettazione delle politiche estere e di difesa della Casa Bianca. Per quanto questa assenza possa sembrare strana in una riunione del genere, non è troppo sorprendente.

… E LA POLITICIZZAZIONE

Bolton è uno dei falchi che ha spinto la pressione dell’ingaggio con l’Iran e per questa ragione l’amministrazione avrebbe scelto di tenerlo fuori, davanti alle critiche dei congressisti democratici che consideravano il briefing troppo politicizzato. Tanto al punto che la Camera ha invitato a partecipare come osservatori l’ex direttore della CIA, John Brennan, e l’ex funzionario del dipartimento di stato Wendy Sherman, che ha negoziato nel 2015 l’accordo sul nucleare iraniano da cui gli Usa trumpiani sono usciti unilateralmente. Se Bolton resta fuori però, significa più che altro che le voci su una sua fase di contrasto con Donald Trump sono attendibili: pare infatti che il presidente non gradisca l’atteggiamento troppo aggressivo del suo consigliere. Ed è probabilmente questo, più che l’accettare le richieste dei Dems, che ha spinto lo Studio Ovale a tenere lontano il suo mastino dalla riunione.

TRUMP DUALE 

Due giorni fa, il senatore Lindsey Graham, consigliere informale del presidente, ha scritto su Twitter: l’Iran è “probabilmente” responsabile dei recenti “incidenti” nei due lati della Penisola Arabica e se metterà “in pericolo gli interessi americani dovremmo dargli una lezione militare travolgente”. Graham aveva appena avuto un incontro personale con Bolton. Ma Trump ha dimostrato di alternare posizioni bombastiche come il tweet in cui minacciava “the official end of Iran” a linee più moderate come quella odierna (“Non abbiamo alcuna indicazione che qualcosa sia accaduto o accadrà, ma se (l’Iran) attaccherà risponderemo, ovviamente con grande forza”). Un atteggiamento fondamentalmente finalizzato a restare fuori da una guerra (che avrebbe tutti i presupposti per essere deleteria da tutti i punti di vista, non ultimo quello del consenso in vista del 2020) e per lasciare aperto uno spiraglio se Teheran dovesse accettare di sedersi di nuovo e trattare un altro accordo.

UNA MINACCIA NOTA, “COSTANTE”

“Potus non sta pensando a una guerra con l’Iran”, ha scritto su Twitter il senatore repubblicano dalla Florida, Marco Rubio, che ha però aggiunto che il flusso di informazioni sulle minacce legate ai movimenti dei Guardiani – il corpo militare teocratico che segna le posizioni più estremiste a Teheran, da poco bollato dagli Usa come gruppo terrorista – “è coerente e credibile” per questo c’è stato un rafforzamento militare nell’area, ma prima ha specificato “costante”. “[…] È una minaccia esistenziale per la sicurezza degli Stati Uniti e anche per i nostri interessi nella regione”, ha detto domenica alla MSNBC , l’ex Marines veterano dell’Iraq Ruben Gallego, membro del Comitato per i Servizi armati della Camera come deputato democratico. Ma Gallego – che in Iraq ha vissuto gli anni bui in cui quelle milizie filo-iraniane erano protagoniste di attentati devastanti contro i soldati americani – aggiunge anche quello di questi giorni, per quello che lui ha potuto sapere sul report di intelligence (la sua commissione ha ricevuto un pre-briefieng nei giorni scorsi) “non è nulla che ci imporrebbe di spostare effettivamente tante risorse in quell’area e di minacciare una guerra aperta con un paese che in realtà può difendersi abbastanza bene”.

L’IRAN INTANTO AUMENTA L’URANIO

Non stempera di certo la situazione quello che è emerso ieri sera da Teheran. L’Iran ha infatti annunciato di aver quadruplicato la propria capacità produttiva di arricchimento di uranio per far fronte a necessità legate al regime sanzionatorio americano. I funzionari iraniani hanno sottolineato che l’uranio sarà arricchito soltanto entro il limite del 3,67 per cento fissato dall’accordo nucleare del 2015 – una percentuale che lo rende utilizzabile per una centrale elettrica, ma molto al di sotto di ciò che è necessario per un’arma atomica – ma è chiaro che è argomento utile per i falchi americani, studiato dai falchi iraniani che nel confronto a bassa intensità con Washington traggono vantaggio a livello di consenso contro i moderati che hanno sostenuto l’ormai scaduta fase negoziale. Oggi l’Iraq ha annunciato che invierà una delegazione diplomatica a Teheran e a Washington per cercare di “calmare la situazione”: Baghdad è un alleato americano che ha ottimi rapporti politici anche con l’Iran ed è per questo un attore intermedio nella crisi.

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