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Il vice premier cinese Liu He, investito dal presidente Xi Jinping dell’incarico di curare i dossier economici, ha avuto una conversazione telefonica con il segretario al Tesoro americano, Steve Mnuchin, e con il rappresentante al Commercio nominato dalla Casa Bianca, Robert Lighthizer. Obiettivo della telefonata: preparare il terreno su cui seminare i prossimi round negoziali sul commercio.

I talks tra Stati Uniti e Cina erano stati sospesi dopo l’inasprirsi dello scontro commerciale, ma l’incontro al G20 argentino tra Donald Trump e Xi ha riaperto il dialogo per almeno 90 giorni – quelli concessi come un ultimatum dagli Usa prima di alzare al 25 per cento i dazi su 200 miliardi di export cinese già soggetto a tariffazione al 10 per cento.

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È il ministero del Commercio cinese a diffondere la notizia dicendo: “Entrambe le parti si sono scambiate le proprie opinioni su come portare avanti il ​​prossimo passo del calendario”. Pechino vuole costruire una road map con cui capitalizzare il punto di contatto raggiunto durante la riunione tra leader, e sponsorizza questa sua posizione dialogante.

A metà dicembre, una delegazione cinese di trenta funzionari sarà a Washington per avviare il nuovo round negoziale, almeno stando a quanto scrive il South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong sempre molto informato, di proprietà di Alibaba Group, colosso dell’e-commerce creato da Jack Ma, il multimiliardario più ricco della Cina che da poco s’è scoperto essere membro del Partito comunista di governo (strano? Forse, ma è l’economia di mercato socialista, bellezza. Ndr).

Pechino, secondo Scmp, vuol sottolineare le proprie buone intenzioni e la disponibilità a trattare nonostante negli ultimi dieci giorni, quelli trascorsi dall’incontro presidenziale di Buenos Aires, i segnali dagli Stati Uniti siano contrastanti. Trump, via Twitter, ha cercato di mantenere il punto con la sua linea storica e s’è definito un “tariff man”, ossia uno che sostiene l’utilità dei dazi per proteggere l’economia americana, perché, ha spiegato, “sarà sempre il modo migliore di aumentare al massimo il nostro potere economico. Stiamo facendo miliardi di dollari dalle tariffe. Facciamo l’America ricca di nuovo” (l’ultima frase è una modifica al motto #MAGA che accompagna la sua presidenza).

L’uscita ha mandato in tilt i mercati appena riaperte le borse dopo la tregua argentina: le piazze di investimento evidentemente speravano in qualcosa di più, ma Trump ci ha tenuto a precisare che durante la cena con Xi al G20 c’è stata intesa, ma niente di formale, e tutto è in mano ai cinesi, come dice lui: se accetteranno le indicazioni americane bene, altrimenti nell’arco di novanta giorni (che a questo punto sono diventati 79) l’America inasprirà le proprie misure. Però, ha provato a spiegare successivamente, fidatevi, perché una quadra si troverà.

È da notare che le reazioni borsistiche sono anche conseguenza di un nervosismo legato all’andamento caotico della questione e dell’impossibilità percepita di fidarsi completamente della Casa Bianca. Qualche giorno fa Trump, senza troppe ragioni, ha twittato che “i dialoghi con la Cina stanno andando molto bene”: a cose come questa corrisponde uno scatto in alto per i titoli, ma poi all’eventuale tweet negativo successivo s’abbina sempre un crollo di valore superiore, perché gli investitori prendono per buono lo scenario più pessimista. Questo controllo della borsa è qualcosa di nuovo per Trump: il presidente finora ha goduto di un ciclo economico in piena rincorsa, ma adesso le cose potrebbero iniziare a rallentare e ogni sua mossa creare reazioni potenziate.

Un altro elemento che dovrebbe pesare sui colloqui è l’arresto in Canada di una delle principali top-manager del gigante delle comunicazioni cinese Huawei. Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei e figlia del fondatore, è a Vancouver, fermata mentre era in transito verso il Messico dove era diretta per business, perché accusata dagli Stati Uniti di aver passato all’Iran sanzionato tecnologia americana. Ora è in attesa di estradizione verso gli Usa, chiede la libertà su cauzione mentre Pechino si lamenta dei maltrattamenti “disumani” (cit. Global Times) subiti.

Dopo una reazione vocale contro Washington, i cinesi si sono scagliati sul Canada, minacciando ritorsioni in ambito economico-commerciale. Stop agli attacchi contro gli americani, perché – e la telefonata tra il potentissimo Liu He e i due top player dell’amministrazione Trump lo dimostrerebbe – adesso l’intenzione cinese è quella di portare avanti i negoziati e la vicenda Meng deve essere trattata separatamente. Uno studio di EconPo Europe rivela che gli Stati Uniti sono in vantaggio sullo scontro commerciale, e dà una spiegazione sul perché Pechino voglia insistere sul dialogo – Trump, qualche giorno fa, ha scritto sempre su Twitter che i colloqui adesso procedono “smooth”, ossia vanno via lisci.

Secondo alcuni esperti dell’economia cinese, che preferiscono non esporsi apertamente, la ricostruzione dell’impalcatura negoziale, inoltre, può essere indicativa del fatto che Trump e Xi, al di là dei contenuti formali, hanno effettivamente raggiunto qualcosa di concreto durante la loro cena al G20, “che magari è ancora a parole e che starà ai negoziatori consolidare” – non vogliamo “impegni soft”, c’è opinione unanime che “deve essere un accordo”, ha detto Mnuchin al Financial Times, “a Real Deal” lo aveva definito già Trump. “Qualcosa di buono al punto da convincere Pechino a mollare sulla vicenda Meng”, sottolinea un commentatore.

Tra Stati Uniti e Cina c'è spazio per il dialogo

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