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Il messaggio è tanto chiaro quanto indigesto: lo Stato datore di lavoro ha diritti che i datori di lavoro privati non hanno. Ma volevano che fosse chiaro, aggiungendo che: i lavoratori pubblici avranno sgravi fiscali che i privati non avranno. Il tentativo di nascondere un errore ne ha prodotto la moltiplicazione. Parliamo di pensioni e di quota 100. Per i privati ci saranno quattro finestre d’uscita in un anno, a partire da aprile. Per i pubblici due e a partire da agosto, che diventa settembre per la scuola. Della serie: il datore statale va trattato con più riguardi, più preavviso e meno fregole.

Quando un dipendente privato termina il suo contratto, anche perché va in pensione, entro sei mesi il datore è obbligato a dargli i soldi della liquidazione. Giusto, sono soldi suoi, sebbene accantonati dal datore e fino a quel momento parte della sua riserva di cassa. Quando capita a un dipendente pubblico, invece, lo Stato può rimandare di anni l’esborso. Perché? Perché i soldi non ci sono. Peccato che se questa fosse la risposta di un privato lo metterebbero in galera.

Ma la risolviamo, dissero al governo: il lavoratore potrà chiedere un prestito in banca, pari alla liquidazione (tfs) che gli spetta e gli interessi saranno interamente pagati dallo Stato. Provai a far osservare che, in questo modo, sarebbe cresciuto il debito pubblico, ovvero l’opposto di quel che il governo aveva affermato. Mi risposero che non era vero o, comunque, non rilevante. Invece era vero e rilevante, tanto che hanno dovuto cambiare approccio: gli interessi li paga il lavoratore, ma solo alla fine, alla scadenza del debito, ovvero quando incasserà la liquidazione e per evitare che ci perda dei soldi gli sarà erogata con uno sgravio fiscale pari agli interessi che deve pagare.

Geniale, salvo che: a) in questo modo ci sarà minore gettito, che se non accompagnato da tagli della spesa produrrà maggiore debito, giacché se non è zuppa è pan bagnato; e b) in base a quale principio di giustizia il lavoratore pubblico deve avere uno sgravio fiscale negato al lavoratore privato? Perché, suppongo sia la giustificazione, il secondo ha avuto la liquidazione per tempo. Vale a dire che avendo costretto il datore privato a scucire subito soldi che lo Stato si consente di non dare si costringe poi il lavoratore privato a pagare oneri fiscali per benefici che non dovrà avere.

Già non mi convincono i contratti nazionali, figuriamoci se penso che debbano essere tutti uguali, ma alcune regole sì. Fra queste quelle relative alla liquidazione. È se lo Stato ha voglia di due pesi e due misure applichi a sé quella più rigorosa, piuttosto che a quanti intraprendono rischiando di tasca propria. Invece non solo si fa il contrario, ma si ingigantiscono squilibri e diseguaglianze fra datori e fra lavoratori. Naturalmente in nome della giustizia sociale. Ma poco gliene cale, l’importante è poter gridare: fatto! E misfatto.

Tfr e Tfs con quota 100. Due pesi e due misure del governo tra pubblico e privato

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