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Il Director della National Intelligence, Dan Coats, ha testimoniato davanti alla Commissione intelligence del Senato oggi, affossando due delle linee politico-programmatiche più forti del presidente Donald Trump in politica estera. Il capo di tutte le sedici agenzie di servizi segreti americani ha detto, rispondendo alle domande dei senatori, che non è vero che l’Iran sta continuando a costruire ordigni atomici e che la Corea del Nord non ha nessuna intenzione di mollare il suo programma nucleare.

Ossia, per punti. Primo: Trump ha tirato fuori gli Stati Uniti dall’accordo internazionale siglato (su forte impulso dell’amministrazione Obama) nel 2015. Accordo che congelava l’atomica degli ayatollah, e creava i presupposti per riavviare con Teheran rapporti economici, commerciali e diplomatici con la Repubblica islamica. La Washington trumpiana ha riattivato tutta una serie di misure sanzionatorie contro l’Iran e ha spinto gli alleati ad accodarsi – anche se gli europei tendono a voler mantenere in piedi il deal, e con loro Cina e Russia. Motivo dell’uscita per Trump: gli iraniani non sono onesti, nascondono siti segreti in cui portano avanti i loro piani atomici, e poi sono colpevoli di altri comportamenti malevoli (come lo sviluppo di missili balistici al di fuori dalle proibizioni Onu) e l’appoggio a gruppi terroristici regionali. Ora il capo del Dni, la massima autorità dell’intelligence americana, dice che le informazioni in mano alle sue agenzie rivelano che l’Iran non “sta attualmente svolgendo l’attività chiave per lo sviluppo di armi nucleari” necessaria per fabbricare una bomba, però sta sponsorizzando i ribelli yemeniti Houthi e altri gruppi terroristici con cui guadagnare influenza in Medio Oriente.

Secondo: Trump ha spinto il dossier nordcoreano fino all’estremo due anni fa, arrivando alle minacce militari contro il regime di Kim Jong-un. Un’attività di stress (anche attraverso un sistema di sanzioni volto alla “massima pressione”) che ha portato il satrapo di Pyongyang ad accettare un incontro faccia a faccia con Trump. Da lì, era giugno 2018, il presidente americano ha iniziato a trattare la questione come conclusa, con il Nord sulla via della denuclearizzazione, sebbene non ci fossero segnali in proposito. I negoziati sono scorsi con lentezza e senza sostanziali cambiamenti: la Corea del Nord non ha mai ufficialmente ammesso di intendere un denuke come Washington vorrebbe, ossia totale e immediato. Ora Coats ricalca: “Valutiamo che la Corea del Nord cercherà di mantenere la sua capacità di armi di distruzione di massa e difficilmente rinuncerà completamente alle sue armi nucleari e alla sua capacità di produzione”.

Si tratta di un’altra sottolineatura devastante per la narrativa del presidente che arriva a poco più di un mese da un secondo incontro previsto tra Trump e Kim (il presidente difficilmente riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi, dice Coats). E che si porta dietro altre affermazioni simili. Il Dni scelto da Trump ha detto anche che lo Stato islamico è tutt’altro che sconfitto, e come testimoniato dal report “Worldwide Threat Assessment” presentato al Congresso “controlla ancora migliaia di combattenti in Iraq e in Siria” e mantiene otto filiali e una dozzina di reti in tutto il mondo. Trump ha detto che l’IS era stato sconfitto quando il 19 dicembre ha annunciato la decisione di ritirare i soldati americani dalla Siria – una smentita tragica era arrivata poche settimane dopo, con un attentato fatto da un kamikaze del Califfato che ha ucciso quattro americano nel nord siriano.

Coats, ex senatore repubblicano per l’Indiana, ha anche detto che i cambiamenti climatici sono tra le maggiori minacce, ha messo in guardia sulla possibilità che la Russia interferisca nuovamente alle presidenziali del 2020, e ha confermato che la Cina è una minaccia per il cyber spionaggio.

Perché Coats sconfessa Trump su Iran e Corea del Nord

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